Falstaff – La risata finale
di Martino Pinali
Background storico
Con il debutto di Otello, la carriera operistica di Verdi, a detta di tutti, non poteva raggiungere altri vertici, e il mondo musicale dava per conclusa la grande e lunga stagione musicale verdiana. Ma nonostante i settant’anni e passa che gravavano sul vecchio compositore, nonostante la lunga catena di amici che andava seppellendo (Andrea Maffei, amico e librettista, e la moglie Clarina; Franco Faccio, affezionato direttore d’orchestra; Francesco Maria Piave, morto dopo una lunga malattia, le cui cure mediche erano state pagate da Verdi stesso), il compositore dimostra ancora una notevole vitalità, e, in una lettera all’impresario Monaldi, nel 1890, scrive: “Sono più di quarant’anni che desidero scrivere un’opera comica!”.
L’unico approccio di Verdi con l’opera buffa era stato sfortunato: la prima di Un giorno di regno venne salutata da un fiasco, che gravò sul debuttante compositore, alla sua seconda opera, e reduce dalla pesante perdita della prima moglie, Margherita, e dei figli da lei avuti. Ma ora, pur gravato da più numerosi lutti, Verdi vuole togliersi lo “sfizio”, come per riscattarsi (Rossini, durante le sue frequentazioni parigine, in tutta onestà lo aveva definito “inadatto al genere comico”). Ora, a fine carriera, Verdi non vedeva l’ora di cimentarsi, per la prima volta, in un soggetto comico che gli piacesse (tale era il caso di una commedia che, nella stessa lettera a Monaldi, afferma di conoscere “da cinquant’anni”: è il caso de The merry wives of Windsor, dell’adorato Shakespeare) e lo mettesse alla prova: la produzione verdiana consta quasi esclusivamente di sole tragedie, e le poche situazioni buffe presenti (il personaggio di Oscar de Un ballo in maschera, e le scene di Fra’ Melitone e di Preziosilla ne La forza del destino) servono solo ad acuire il dramma dei personaggi principali.
Affiancato dal valido Arrigo Boito, Verdi, concluse le fatiche di Otello e delle revisioni di Simon Boccanegra e Don Carlo, ha finalmente il tempo di potersi dedicare a sir John Falstaff. Nel luglio dell’89 scrive a Boito: “Che gioia! Poter dire al pubblico: “Siamo ancora qua!! a noi!!”. L’entusiasmo che l’anziano compositore infonde nella composizione della musica è tale che, per l’estate del 1892, la partitura dell’opera era pronta. Mentre Boito andava componendo il libretto, basandosi abbastanza fedelmente a Shakespeare (le uniche libertà sono il passaggio di ruolo di “comare maggiore” da Meg ad Alice, un più vasto spazio dedicato agli amori di Fenton e Nannetta, appena abbozzato nella commedia, e l’inserimento di qualche stralcio dell’Henry V, il dramma storico in cui è presente un più “giovane” Falstaff), Verdi trascorreva la sua vecchiaia in calma e tranquillità, mentre una schiera di “giovani” autori stava facendo il suo timido capolino sulle scene: debutta Pietro Mascagni con la sua Cavalleria rusticana (1890), Ruggero Leoncavallo con i Pagliacci (1892), e, appena una settimana prima del debutto di Falstaff, la Manon Lescaut di Giacomo Puccini.
Il 9 febbraio 1893 fu il debutto dell’ultima fatica operistica verdiana. Sul podio, sul posto che avrebbe dovuto essere di Franco Faccio (morto l’anno prima), Edoardo Mascherini; sul palco, Victor Maurel (già Jago) nel ruolo del titolo, Emma Zilli e Antonio Pini Corsi quali coniugi Ford, Giuseppina Pasqua quale Quickly. Nella sala, a festeggiare l’ultima creazione verdiana, un pubblico composito di poeti, musicisti, nobiluomini e giornalisti: Giosuè Carducci, il librettista Giuseppe Giacosa con Giacomo Puccini, Pietro Mascagni. Come Donizetti, che aveva festeggiato il successo del giovane Verdi all’epoca del Nabucco, così giovani e nuovi talenti salutarono con rispetto il glorioso tramonto dell’astro verdiano, che in meno di cinquant’anni aveva assorbito e modificato il panorama musicale italiano e non solo.
L’opera
Windsor, inizio del XV secolo. Il vecchio e corpulento John Falstaff (baritono), ex paggio del Duca di Norfolk e favorito di Enrico V, invaghito di due “comari”, Alice Ford (soprano) e Meg Page (mezzosoprano), manda loro due lettere (identiche nel contenuto) in cui dichiara il suo amore. Le due donne, ricevute le lettere, sdegnate e divertite al tempo stesso, decidono di preparare una “vendetta” ai danni del cavaliere, con la complicità di Nannetta (soprano), figlia di Alice, e di Mrs Quickly (contralto). Decidono così di inviare Mrs Quickly come messaggera a Falstaff, invitandolo a recarsi in casa di Alice per un incontro galante.
Le donne sono però all’oscuro di un altro piano, ideato da Ford (baritono), marito di Alice, aiutato da Bardolfo (tenore) e Pistola (basso), i servi di Falstaff da lui sempre maltrattati e desiderosi di vendetta, dal dottor Cajus (tenore), al quale ha promesso in sposa Nannetta, e Fenton (tenore), innamorato ricambiato della ragazza. Quando Ford, ignaro del piano delle donne, scopre che Falstaff si sta recando in casa sua, crede che sua moglie lo tradisca e, con tutto il vicinato, irrompe in casa in cerca del cavaliere. Solo il sangue freddo di Alice e delle altre “comari” riesce a far sì che la vicenda non sfoci in tragedia: Falstaff viene nascosto prima dietro il paravento, poi nel cesto dei panni sporchi, e, da lì, gettato infine nel fiume. Ford scopre la verità dalla moglie, e, donne e uomini, si coalizzano per macchinare l’ultima burla ai danni del cavaliere.
Mrs Quickly fa un’ultima ambasciata a Falstaff: Alice lo aspetta a mezzanotte, al Parco reale di Windsor, sotto la quercia del Cacciatore Nero (il fantasma di un uomo impiccatosi ai rami dell’albero, che tuttora infesta la selva). Il piano è quello di terrorizzare il cavaliere con una “tregenda”: tutti gli abitanti di Windsor, vestiti da fate, folletti e diavoli, partecipano allo scherzo. Nel culmine dello scherzo, Ford progetta con Cajus il suo matrimonio con Nannetta, ma la conversazione viene udita da Mrs Quickly, che avvisa Alice e decidono di organizzare una burla anche ai danni del marito.
Terrorizzato Falstaff, il quale però si avvede dello scherzo e lo accetta con filosofia, è il momento di celebrare il matrimonio della “Regina delle Fate” (tale è il vestito che Nannetta indossava durante la mascherata): ma, con stupore, sotto il velo non c’è la ragazza, ma il servo Bardolfo. Alice svela il trucco finale, e intercede presso il marito per la figlia e Fenton. Conclusasi l’avventura, Falstaff detta la morale della storia: “tutto nel mondo è burla”.
Musica e maschere
Se ancora in Otello si poteva avvertire qualche “eredità” dei brani musicali “chiusi”, in Falstaff domina una totale coesione tra un brano e l’altro. Questo continuum musicale ben si addice ai toni comici dell’opera, nei suoi continui passaggi da una scena all’altra: per esempio, all’allegro “quartetto” delle Comari (“Quell’otre! Quel tino!”), nella Seconda Scena del Primo Atto, si aggiungono le cinque voci maschili subitaneamente, e riescono a coinvolgere lo spettatore nel caos che il povero Ford avverte attorno a sé (“Se parlaste uno alla volta forse allor v’intenderò!” sono le se uniche battute distinguibili, nel cicaleccio generale).
Pur essendo un’opera priva di grani scene di assieme (e il Coro vi è presente in sole due occasioni), per i singoli protagonisti è difficile emergere dalla massa, eccezion fatta per il “pancione” di Falstaff: tra le comari spicca l’esperienza di Mrs Quickly, nemesi di quasi tutte le “dame di compagnia” verdiane e diretta erede della protagonista de L’Italiana in Algeri di Rossini; è lei a ingannare più volte Falstaff, colpendolo nel suo punto più sensibile: la vanità (“Reverenza!” è il suo reiterato e ossequioso saluto). Alice ha in sé le caratteristiche della “donna oggetto” amata da tutti, ma si ribella a questa sua posizione, facendo ribaltare i piani del marito e del cavaliere (“Gaie comari di Windsor!” canta, incitando le amiche a prepararsi all’incontro con Falstaff).
Ma la parola “comicità” trae in inganno, e non può servire a inquadrare bene quest’opera, molto più complessa. Falstaff rientra nella categoria delle commedie: pur mantenendo in sé una notevole impronta comica, specialmente nel suo personaggio protagonista vive un’eco malinconica, sognante, struggente. La simpatia di Verdi per il protagonista della sua ultima opera sta forse nel fatto che siano entrambi due uomini anziani, con ancora voglia di divertirsi e di assaporare le piccole gioie del mondo, a discapito dei pregiudizi altrui (come il crudele rimprovero che Quickly gli rivolge nella Scena Finale: “Voi credeste due donne così grulle […] per un uom vecchio, sudicio ed obeso, con quella testa calva, e con quel peso!”). Falstaff si beffa delle convinzioni altrui, e, fino all’ultimo, cerca di dimostrare al mondo di aver apprezzato lo scherzo: lui, che di scherzi ne aveva fatti molti agli altri (“L’arguzia mia crea l’arguzia degli altri” afferma), come quello che aveva ideato ai danni di Alice e Meg. Nel suo unico momento di solitudine (il toccante monologo “Va, vecchio John”) Falstaff non ha una parola di amore per le due donne, pensa solo alla corruzione del mondo e ai piaceri del buon vino. Falstaff è un vecchietto brontolone, esattamente come Verdi: e quando cala la tela, dopo “la risata final” nessuno dei due esiste più.
Tre buoni motivi per cui vale la pena ascoltarla
-
per la ricorrenza, pure in toni scherzosi, di tutti i temi che hanno tracciato la carriera verdiana: la matrice religiosa (la salmodia che invoca la redenzione di Falstaff, “Domine fallo casto”), la gelosia (il monologo “delle corna” di Ford, “È sogno? O realtà?”, con il conseguente rovesciamento del tipico triangolo amoroso verdiano: baritono-soprano-baritono), il soprannaturale (il racconto di Alice “Quando il rintocco della mezzanotte” e la romanza della Regina delle Fate/Nannetta “Sul fil d’un soffio etesio”);
-
per le “allegre comari”, vero e proprio riscatto femminile delle produzione verdiana: le astute e smaliziate Alice e Meg, l’esperta Quickly, e la dolce ma non meno furba Nannetta;
-
per il meraviglioso testamento che è quest’opera, summa di tutta la produzione verdiana; per l’ultimo grande divertimento del compositore; e, dopo aver pianto con Violetta, Manrico, Rigoletto, Amneris, Don Carlo, salutare il suo addio alle scene con un sorriso sulle labbra.
Dove e quando ascoltarla in Italia
L’ultima fatica verdiana, dopo la fortunata produzione alla Scala per la regia di Robert Carsen, è prevista nei teatri di Sassari e Jesi (ottobre-novembre, protagonisti Ivan Inverardi e Silvia Dalla Benetta), Ravenna e Lucca (novembre-dicembre, con la regia di Cristina Mazzavillani, moglie del famoso direttore Riccardo Muti), e a Bari, nel “rinato” Petruzzelli, protagonista Roberto De Candia, affiancato da Artur Rucinski, Serena Farnocchia, Marianna Pizzolato.