Pubblicato il: Mar, Dic 16th, 2014

Maddalena, la guerra, i luoghi e l’anima di una resistente vicentina

di Alessandro Pagano Dritto

@paganodritto

L’ultimo libro di Maddalena Lunardello Lenti, Staffetta per caso. 1943-1945, diario di due anni difficili nell’Alto Vicentino (Mimesis Edizioni, Milano – Udine, 2014, pp. 168, 16 euro), racconta di come l’autrice, adolescente all’epoca dei fatti, sia diventata, appunto per caso, una staffetta partigiana.

Maddalena Lunardello Lenti, Staffetta per caso. 1943-1945, diario di due anni difficili nell'Alto Vicentino (Mimesis Edizioni, Milano - Udine, 2014, pp. 168, 16 euro). In copertina, l'autrice e protagonista all'epoca dei fatti: per gli amici, Mad. (Fonte: www.superbook.it)

Maddalena Lunardello Lenti, Staffetta per caso. 1943-1945, diario di due anni difficili nell’Alto Vicentino (Mimesis Edizioni, Milano – Udine, 2014, pp. 168, 16 euro). In copertina, l’autrice e protagonista all’epoca dei fatti: per gli amici, Mad.

Per questioni anagrafiche Mad, come la chiamavano parenti ed amici, non fu mai al centro del movimento resistenziale del suo paese delle Prealpi venete, Schio, ma si limitò ad un ruolo temporaneo e periferico.

Il lettore così troverà, in queste pagine di diario riprese e rielaborate in forma più narrativa decenni dopo, ben pochi dei nomi noti che potrebbero consegnare i libri della storiografia locale. Solo alla fine, nelle foto d’epoca che corredano e chiudono il libro, si legge in appendice a un documento autografo la firma di un comandante della formazione partigiana garibaldina «Martiri della Val Leogra»: «Alberto», al secolo Nello Boscagli.

Al contrario, per Mad e per il lettore, il periodo della Resistenza sarà rappresentato quasi esclusivamente da puri nomi di persone a vario titolo coinvolte dagli eventi: Anna, Ilaria, Enrica, Antonio, Franco, Carlo, il tedesco Gerhard compariranno di volta in volta ornati solo dei nomi propri.

Anche se gli episodi collettivi narrati trovano tutti una puntuale corrispondenza a livello storiografico, non è anzitutto quello dello storico l’animo con il quale ci si deve volgere a questo libro, bensì quello – a parere di chi scrive – del lettore di romanzi o del narratore. Come accade forse per le migliori narrazioni, l’opera ha il merito principale di restituirci l’animo dei luoghi e delle persone che vissero quel periodo in questa cittadina dell’Alto Vicentino e nei suoi immediati dintorni.

Questa di Maddalena Lunardello Lenti è infatti un’opera dalla quale non sembra possibile compiere un’astrazione se non a costo di una sua parziale falsificazione: è questo un libro scledense, profondamente ancorato ai vicoli stretti della zona storica del centro di Schio, alle viuzze tortuose della collina che domina la città e sulla quale ancora oggi, come allora, svetta un’antica struttura con torre e orologio che gli scledensi chiamano confidenzialmente «il Castello».

Nel libro si respira il mutamento cui la guerra sottopone Mad e quasi tutti i personaggi minori o maggiori che il lettore va incontrando nel corso dei ventisette capitoli: «Ci guardavamo l’una con l’altra – scrive l’autrice ritraendosi al primo giorno di scuola del dopoguerra con le proprie compagne di classe – e io ebbi l’impressione che in quei pochi giorni tutte noi fossimo profondamente cambiate» (p. 123).

A volte questo mutamento è registrato dalle persone, e nelle sensazioni di Maddalena non è sempre positivo: «Sì, il sorriso era lo stesso che gli aveva illuminato il viso – dice a guerra conclusa rivedendo il partigiano Franco – ogni volta che ci eravamo incontrati. Ma egli ora era così diverso: niente giaccone sdrucito, niente barba o chioma arruffata. Era come i tanti ragazzi che conoscevo. Un pullover blu su una camicia chiara, i capelli in ordine. Però zoppicava, appoggiandosi a una stampella. Davvero avrei voluto fuggire. Invece stavo lì. Intimidita, incapace di dire qualcosa». (p. 129)

Più che dalle persone, il cambiamento più drammatico è registrato innanzitutto dai luoghi, che nella realtà come nelle sensazioni dell’anima di chi li percepisce, la guerra non ha lasciato mai uguali a se stessi. Si noti che nonostante il bombardamento del 14 febbraio 1945, che lascia a Schio undici vittime e le macerie di una fabbrica, non sono le bombe a cambiare i luoghi dell’anima di Maddalena. La guerra, piuttosto, agisce su di loro indirettamente e in modo più subdolo e silenzioso: la deportazione di un libraio gentile – quello stesso Giovanni Bortoloso di cui già ha parlato Ugo De Grandis in sede più prettamente storiografica – fa sì che la sua assenza si respiri ancora nella sua libreria, tutt’oggi esistente, del centro cittadino: «A volte immagino di vederlo affacciarsi in fondo al negozio, col suo sorriso cordiale» (p. 144), confessa Maddalena.

Schio, la Valletta dei Frati in un'immagine dei primi del Novecento. Probabile che così apparisse, quasi mezzo secolo dopo, anche a Maddalena. (Fonte: www.confidenzialmente.it)

Schio, la Valletta dei Frati in un’immagine dei primi del Novecento. Probabile che così apparisse, quasi mezzo secolo dopo, anche a Maddalena.

Il luogo dell’anima per eccellenza sembra però essere la Valletta dei Frati, una macchia verde tutt’ora esistente a pochi passi dal centro: durante la guerra gli abitanti ottennero dalle autorità locali il permesso di tagliarne gli alberi per farne legna da ardere, visto che recarsi in collina per quello scopo poteva comportare il rischio di essere colti nel mezzo di uno scontro armato tra partigiani alla macchia e forze nazifasciste. Proprio mentre questi alberi vengono tagliati, Maddalena si ritrova a passare di là in una delle tante passeggiate lungo le vie del paese che senza interruzione corredano tutto il testo: «Io stavo rientrando da scuola e mi fermai sulla strada, sbigottita, incredula. Non potrò mai dimenticare il rumore provocato dallo schianto degli alberi che cadevano. Erano piante che conoscevo, che avevo visto ogni giorno fin da piccola; avevo giocato tante volte sotto la loro ombra protettiva, le percepivo quali creature vive, amiche: erano parte essenziale del mio universo visivo, come le montagne» (pp. 111-112).

La Valletta, dove le memorie di Maddalena hanno inizio con un cerchio che cozza, infantile gioco di bimba, contro la tenda di un accampamento tedesco nel settembre 1943, diventa una specie di utero, di culla dell’infanzia e della vita, quando la madre conferma alla ragazza che lì «vi portavo [Maddalena e il fratello Luigi, internato in Austria] col passeggino a respirare l’aria buona che odorava di tigli, di resina» (p. 112).

Ma è soprattutto un evento a cambiare Maddalena, a farle scrivere «avevo perduto lo slancio fiducioso verso gli altri» (p. 165), a farle perdere quello stesso slancio che probabilmente l’aveva portata ad accettare missioni potenzialmente pericolose affidatele da persone allora a lei estranee: è il taglio di capelli cui l’amica Ilaria viene sottoposta per aver nutrito un sentimento d’amore per un ufficiale tedesco.

Nel valutare il cambiamento di Mad, questo episodio, contenuto nel capitolo La pace, forse, ma spuntano i giustizieri (pp. 123-132) potrebbe rappresentare il culmine di una presa di coscienza, di un’evoluzione del personaggio le cui tappe sono già delineate nei capitoli precedenti. Una recensione ha a disposizione uno spazio troppo breve per parlarne diffusamente, quindi ci si limiterà qui a elencare a vantaggio del lettore curioso quelli che sembrano essenziali, imprescindibili: assieme al capitolo citato, Assassinio in chiesa (pp. 79-82), Il partigiano in catene (pp. 109-110) e Alberi addio (pp. 111-112) potrebbero rappresentare, a puro giudizio personale di chi scrive, la selezione minima e necessaria di questa evoluzione.

L'autrice Maddalena Lunardello Lenti, fotografata nel 2013 sulla scalinata della chiesa di San Francesco a Schio, tiene in mano una bozza del suo libro. (Fonte: www.ilgiornaledivicenza.it)

L’autrice Maddalena Lunardello Lenti, fotografata nel 2013 sulla scalinata della chiesa di San Francesco a Schio, tiene in mano una bozza del suo libro.

Come si diceva, Staffetta per caso rappresenta un libro fortemente scledense, fortemente ancorato al paese di Schio che – il lettore accorto lo avrà forse intuito – ha dato i natali all’autrice del libro quanto all’autore di queste righe: bisogna essere scledensi per coglierne pienamente certe atmosfere, per godere di certi dettagli. Non di meno, però, la sua narratività intrinseca fa di questo libro un testo umanamente universale. Aiuta a inquadrare quel periodo eccezionale che fu la Resistenza degli anni 1943-1945, in un piccolo paese dell’Alto Vicentino così come ovunque, a inquadrarlo nel suo carattere più genuinamente narrativo. Aiuta a entrare in quella dimensione dove narrare significa raccontare il cuore dell’uomo, il suo animo, e condividerne l’intima fragilità, la volubilità, l’incertezza, l’evoluzione nel corso del tempo: in una parola, la crescita, lo sviluppo, la vita.