Articolo 18: cosa effettivamente cambierà rispetto alle precedenti riforme
di Giacomo Pellini
Continua in casa PD lo scontro sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Lo scorso 30 settembre la direzione nazionale del PD ha approvato la mozione della segreteria riguardante il Jobs Act con 130 voti favorevoli, 11 astenuti e 20 contrari. Nella legge delega attualmente in discussione in Parlamento, oggetto anche della mozione, si prevede di mantenere l’istituto del reintegro nel posto di lavoro solamente per i licenziamenti di “carattere discriminatorio e disciplinare”, e di abolirlo per quelli di tipo “economico”. Alla fine la trattativa tra maggioranza e minoranza salta, e a questo punto la rottura è insanabile. Non si placa nemmeno lo scontro tra il Governo ed i sindacati. In particolare la direzione della Cgil ha indetto una manifestazione di protesta il 25 ottobre a Piazza San Giovanni, a Roma.
In sostanza le modifiche previste dalla legge delega sono più o meno le stesse che sono state apportate all’art.18 oramai due anni or sono dalla ben nota Legge Fornero. Le uniche due differenze consistono nell’ampliamento delle tutele per i licenziamenti disciplinari – nel caso in cui il fatto non sussista – e in una nuova disciplina per i licenziamenti di tipo economico, a cui viene sostituito un indennizzo monetario al posto del procedimento giudiziario che si sarebbe dovuto concludere con il reintegro.
Secondo lo Statuto dei Lavoratori, può beneficiare dell’art.18 solamente il lavoratore dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato in un’azienda con oltre 15 dipendenti (5 se azienda agricola). I lavoratori che possono beneficiare dell’articolo 18 sono nel nostro Paese, secondo i dati della Cgia di Mestre, all’incirca 6.300.000, ossia il 57,6% dei lavoratori dipendenti.
Ma se la tutela dell’articolo 18 non sarà più una sicurezza, quali saranno le nuove forme di protezione sociale? Un esempio è il reddito di cittadinanza, presente in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea, reddito erogato a disoccupati e inoccupati in cerca di occupazione e coperto dalla fiscalità generale, o l’introduzione di un salario minimo, proposta già lanciata dal Premier.
Queste nuove forme di protezione sociale dovrebbero tutelare, oltre i dipendenti non più coperti dall’art.18, anche i lavoratori in aziende con meno di 15 dipendenti, lavoratori autonomi, precari e disoccupati, che, secondo l’Ocse, sarebbero oltre 3.200.000.
Se da un lato si vuole rendere più flessibile il mercato del lavoro, dall’altro è necessario introdurre tutele universali per contrapporre alla flessibilità del mercato del lavoro nuove garanzie, più moderne. Per Renzi «riformare il Welfare in Italia è sacrosanto». Occorre ricordare però che la modifica dell’articolo 18 senza un qualsiasi contrappeso di tutela significherà continuità con le politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro degli ultimi 10 anni.