Pubblicato il: Gio, Dic 12th, 2013

Verona, giovani medici protestano: «Lasciateci curare, non fateci emigrare»

di Maria Pozzato

«Lasciateci curare, non fateci emigrare», così recitava lo striscione appeso all’ingresso del Policlinico G.B. Rossi di Verona stamane a partire dalle 10. Si sono dati appuntamento circa 300 studenti di Medicina e Chirurgia, non solo di Verona, ma anche dell’ateneo padovano, per protestare contro i tagli «silenziosi e indiscriminati» che la riforma della legge di stabilità sta operando al sistema sanitario nazionale, colpendo innanzitutto i giovani laureati in Medicina e Chirurgia che rischiano di vedersi private le borse di specializzazione post laurea e quindi anche l’opportunità di completare un percorso di formazione adeguato all’inserimento nel mondo del lavoro sanitario.

Quattro sono le richieste principali dei giovani medici: l’aumento delle borse di studio di specialità per poter accedere ad un posto di lavoro; la specializzazione anche per i medici di medicina generale, poiché ad oggi non è una specialità come le altre scuole di medicina, bensì di livello inferiore; il finanziamento di 1000 borse di studio per professioni non mediche all’interno dell’ospedale, perché anche queste necessitano di specializzazione che ora come ora non viene loro retribuita; la diminuzione del corso di specializzazione, che va dai 5 anni per la maggior parte delle specialità ai 6 per le neurochirurgie e chirurgie generali, con il ripristino dei 4 anni precedenti, sufficienti per un’adeguata formazione e vantaggiosi in termini di denaro risparmiato, che potrebbe essere utilizzato per finanziare le borse di studio.

Gli studenti in corteo davanti al Policlinico hanno indossato i camici bianchi che contraddistinguono la professione medica e hanno urlato il loro disappunto con slogan, cori, agitando cartelli, consegnando volantini ai passanti per sensibilizzare il maggior numero di persone possibili.

«Ci troviamo qui per manifestare il nostro dissenso per quanto riguarda i fondi che sono stati stanziati quest’anno per le borse dei contratti di formazione medico specialistica», ci ha spiegato in un’intervista Gessica Marchesini, ex rappresentante degli studenti di Medicina e Chirurgia di Verona.

Le borse di studio in questione riguardano la formazione specialistica, ovvero il percorso post laurea di un medico. Il neolaureato in Medicina non può fare altro che la guardia medica o l’assistenza di base, a meno che non consegua una specializzazione, obbligatoria per poter lavorare in una struttura pubblica come un ospedale.

«Noi non abbiamo un’altra possibilità», hanno sottolineato i rappresentanti degli studenti di Medicina. «Le borse di studio di cui parliamo non sono equivalenti alle borse di studio che si possono prendere nel corso dei sei anni accademici. Quello che facciamo in specialistica è un lavoro retribuito, perché facciamo turni di 12 ore al giorno, cioè siamo a tutti gli effetti dipendenti degli ospedali. Non esiste la possibilità di fare la specialistica senza la borsa di studio. Quindi quando noi parliamo di 2000 borse di studio, parliamo di duemila posti nei corsi di specialistica. E non esiste nessun’altra opzione lavorativa per noi senza la specialità».

Gessica Marchesini ha precisato che, a fronte di circa 6500-7000 studenti che si laureano ogni anno in medicina, quest’anno sono state stanziate 2000 borse contro le 4500 degli anni scorsi. Si è venuto così a creare un enorme divario tra queste borse e le richieste di medici specializzati inoltrate dalle singole regioni, che l’anno prossimo avranno la necessità di quasi 12.000 medici. La sanità pubblica in questo caso dovrà attingere da medici dall’estero, poiché in Italia ci saranno sempre meno specializzati e, soprattutto, la maggior parte dei neolaureati che non riceveranno la borsa di studio saranno costretti ad emigrare in altri Paesi, intensificando il fenomeno della fuga dei cervelli.

La protesta dei giovani medici non era volta solo agli interessi degli studenti, bensì si rivolgeva a tutti coloro che fruiscono del servizio sanitario, ovvero i pazienti. Secondo i rappresentanti degli studenti della facoltà: «Nel momento in cui negli ospedali ci saranno molti medici che andranno in pensione, rimarranno pochi medici specializzati, con un sacco di pazienti che non sono all’interno del pubblico, ma all’interno del privato e quindi curarsi diventerà una cosa per ricchi, per chi se lo potrà permettere all’interno di strutture private».

I tagli alle borse di specializzazione avrebbero dunque una ricaduta negativa sul grado di qualità della sanità, che vanta il secondo posto al mondo per accessibilità. Con 10.000 medici in meno ogni anno ci saranno cure e prestazioni di scarsa qualità, costi insostenibili per i pazienti e tempi d’attesa per il servizio sanitario sempre più lunghi.

Gli studenti di Medicina avevano manifestato il loro sentimento contrario alla riforma anche il 7 novembre, nel corso di una protesta analoga, con gli stessi obiettivi e modalità. In tale occasione «abbiamo manifestato per la stessa identica cosa. Si era arrivati alla conclusione che sarebbero stati presentati degli emendamenti alla legge di stabilità in modo tale da trovare altri fondi. Questi emendamenti sono stati portati alle Camere e al Senato, ma non sono stati approvati. Quindi diciamo che ci sono stati dei progressi, che però non sono arrivati a destinazione», ha precisato Gessica Marchesini.

La protesta non ha avuto solo la voce dei giovani. A sostegno degli studenti, sono intervenuti molti docenti dell’Università, direttamente o indirettamente. Alcuni professori hanno speso un po’ del loro tempo per scendere all’ingresso dell’ospedale ed esprimere il proprio punto di vista, nonché il supporto all’iniziativa di manifestare per i propri diritti. Anche il prof. Alfredo Guglielmi, preside di Medicina e Chirurgia di Verona, si è espresso in merito e in un’intervista al nostro giornale ha dichiarato: «Come docente il mio punto di vista è considerare il giovane specializzando una risorsa, una risorsa che rappresenta il futuro della nostra professione. Dobbiamo adeguarci a quello che si fa in Europa. Lo specializzando in Europa ha più possibilità di inserirsi nel lavoro rispetto a quanto succede in Italia, ha scuole di specialità che sono accorpate in numero più ridotto, sono 20-25 le tipologie di scuola in Europa rispetto alle 56 che ci sono in Italia. Per cui sicuramente se noi teniamo presente la necessità assoluta di modificare qualche cosa ma di tenere un numero di contratti adeguato a quella che sarà la richiesta futura di giovani medici, possiamo vedere di creare una situazione più favorevole per le giovani generazioni».