Italia, Hollande è la tua occasione
di Riccardo Venturi
Tra maggio e giugno abbiamo assistito a svolte politiche radicali dovute alle elezioni in Grecia e Francia. Mentre l’attenzione di tutta Europa era concentrata sulla ripetizione delle elezioni greche, finite con il sospiro di sollievo degli eurocrati e degli statisti dell’Eurozona grazie alla vittoria del partito di centrodestra pro-memorandum, Neo Dimokratia, in Francia tutta l’attenzione è stata catalizzata dalle elezioni presidenziali di maggio che hanno visto trionfare il socialista François Hollande, primo uomo della sinistra francese all’Eliseo dopo Mitterrand.
Svoltesi all’ombra di quelle greche, le elezioni legislative francesi dei giorni scorsi sono passate in secondo piano. Eppure, se la vittoria dei filoeuropeisti in Grecia è fondamentale per il futuro del continente, lo storico risultato del Partito Socialista in Francia potrebbe rappresentare allo stesso modo una svolta decisiva nell’ambito della governance europea.
Hollande avrà la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Se l’elezione del nuovo presidente poteva dare indicazioni sugli umori della nazione francese, il voto legislativo consegna all’Europa una Francia che ha espresso il sentito bisogno di proseguire su una linea totalmente differente da quella adottata fino a poco tempo fa dall’ormai ex presidente Nicolas Sarkozy.
L’effetto del cambiamento sarà drastico, in particolare per Berlino. In Europa cambiano le prospettive, finora condizionate dallo slittamento sempre più evidente del centro decisionale da un board sovranazionale come la Commissione Europea agli incontri intergovernativi, orientati in senso tedesco. In tempi di crisi Frau Merkel è uscita sempre di più dall’introversione tedesca che ha caratterizzato il momento post-unificazione, con la difesa delle regole imposte a Maastricht dalla Germania in cambio della rinuncia al marco e alla Bundesbank. Il ruolo di Sarkozy, nonostante l’iniziale predisposizione germanofoba tipica dei francesi, ha di fatto giocato a favore del cancelliere ed portato ad una forte intesa sull’asse Berlino-Parigi.
Sarkozy, dando un’impronta decisamente personalistica alla carica presidenziale, ha coltivato durante i suoi anni di mandato residue velleità di grandeur francese. Il rapporto bilaterale con la Germania era visto come il mezzo per affiancare il paese al preponderante ruolo dell’ingombrante vicino nell’Unione Europea. Se al di là al Reno si chiedevano a gran voce sempre maggiori rigore ed austerità, Sarkozy non poteva non sfruttare l’occasione di entrare in cabina come copilota dell’aereo europeo. In fondo, quel ghigno di “Monsieur Le President” indirizzato alla poca credibilità italiana (incarnata nel disastroso crepuscolo del governo Berlusconi) celava molte più indicazioni di quanto potessimo pensare noi italiani, abituati all’immagine stereotipata del francese sciovinista e presuntuoso.
L’illusione sarkozista era quella di rimanere attaccato al treno tedesco e di poter creare un fronte che avrebbe rappresentato l’ennesimo tentativo di rilancio della potenza francese nella regione e nel mondo, non considerando le ragioni molto più pratiche che motivano Berlino nella sua inflessibilità.
Ma il presidente, distratto dalle sue ambizioni personali, non si accorgeva di preparare il terreno per la sconfitta in patria. “ Le changement c’était maintenant”. Dopo tanti anni di governi di destra, la Francia aveva bisogno di una svolta ed ha scelto Hollande. Berlino, diffidente, sta a guardare.
Come prima mossa il neopresidente ha dichiarato di volersi concentrare sulla riduzione del deficit e del debito pubblico ed ha subito compiuto il suo pellegrinaggio a Berlino. Se per la Merkel l’inizio è stato incoraggiante, presto ha dovuto mettere in conto che gli obiettivi di un presidente socialista, che ha fondato il suo programma elettorale sull’evidente assenza di politiche di sinistra moderata per più di un decennio, saranno necessariamente diverse rispetto a quelle del suo predecessore, se non nei fini almeno nei mezzi.
Al rigore, funzionale per la politica estera di Sarkozy, si unisce l’equità, fondamento del Partito Socialista. Se il nuovo governo lavorerà per il risanamento, lo farà fedelmente ai suoi ideali. Con le probabili riforme sociali inserite nel programma unite al fondamentale obiettivo della crescita introdotta nel futuro percorso europeo, Hollande ci indica che le changement non solo c’est maintenant, ma c’est possible aussi.
Il governo socialista francese potrebbe quindi cambiare le grandi direttive della politica europea. Ovviamente il presidente non vuole rinunciare all’asse privilegiato con Berlino costruito dal suo predecessore, ma vuole usarlo non solo in termini di mero appoggio al nuovo grande alleato. Hollande lo sfrutterà per far valere più gli interessi che la posizione della sua nazione.
L’Italia deve sfruttare questo cambiamento radicale nell’asset della governance europea. Se la precedente coabitazione franco-tedesca non lasciava spazio a possibili cambi di rotta, questo è il momento in cui facendo fronte comune si può mettere pressione sulla Germania. Se Roma finalmente trova risposte a Parigi, quest’ultima, anche opportunisticamente, incomincia a guardare Roma. Madrid, Lisbona, Dublino e soprattutto Atene potrebbero a loro volta seguire per inerzia. L’auspicabile possibilità di un fronte che porti avanti gli interessi comuni unitariamente non deve significare un conflitto con la Germania. Se questa ha tutto l’interesse nel mantenimento dell’Eurozona, gli altri paesi non possono permettersi di perdere la Germania. L’obiettivo dell’Italia non deve essere trascinare la Francia verso di sé ed isolare la Germania, ma far sentire alla Germania che ci siamo tutti, e tutti con i nostri interessi da far valere.
Se il rigore è una necessità che porta ad altrettanto necessarie riforme strutturali, quello che deve essere assolutamente eliminata è la rigidità che porta il rigore all’eccesso fino ad essere autodistruttivo. Per avere un’Europa utopica in cui tutti e 27 i paesi seguono la rotta dell’austerity indicata dalla Merkel, si ottiene un’Europa a pezzi, distrutta dalle tensioni sociali e politiche dovute non solo all’impoverimento sempre più frequente, ma soprattutto alla mancanza di ogni prospettiva di crescita.
Se la Germania vuole far maturare il suo ruolo e vuole diventare veramente una potenza non esclusivamente economica, dovrà necessariamente imparare a muoversi in un contesto in cui si senta sempre più Deutscheland e sempre meno große Deutschland. Hollande probabilmente è il miglior attore possibile perché ciò avvenga: discreto, incline al compromesso, ma deciso nelle intenzioni e negli obiettivi da perseguire. Pragmatico nell’azione, ma idealista nelle visioni. E, cosa di non poco conto, con una maggioranza assoluta al governo.
Se l’Italia saprà proporsi come soggetto politico e non accetterà passivamente le indicazioni di euroburocrati dal sospetto nome di Hans, Fritz e Klaus, potrà partecipare al dibattito. Se il governo Monti dovrà sicuramente agire molto più convincentemente rispetto a quanto fatto finora nel campo delle riforme, allo stesso modo dovrà far valere il capitale di credibilità recuperato dall’Italia in questi ultimi mesi. La riforma della BCE ed una politica volta alla progressiva integrazione (e quindi improntata alla solidarietà, valore fondante che sembra essere stato dimenticato da coloro che dovrebbero più di tutti essere riconoscenti per il passato) sono passi fondamentali di un’agenda comune europea che non deve avere mai più a che fare con situazioni gestite ottusamente e senza alcuna parvenza di visione che vada oltre la fredda astrazione numerica, come quella della Grecia.
Finchè non si discuterà seriamente della possibilità di un’autorità sovranazionale allora bisognerà sfruttare tutti i canali possibili per fare fronte comune e far valere i propri interessi nazionali, evitando l’appiattimento del limitarsi a “fare i compiti”.
Un’eventuale Europa federale significherebbe avere accesso ad un forum con potenzialità globali, dove la soluzione a problematiche dovute ad esigenze e culture contrastanti potrà essere trovata ed incastonata in un processo decisionale che favorisce la scelta e la prospettiva più vicina all’interesse di tutti. Finchè l’Europa sarà divisa si manterrà solo l’illusione di una sovranità nazionale che in realtà è subordinata alle proporzioni delle potenze economiche e agli interessi finanziari in ballo. L’Italia fuori dall’Europa diventa quello che in parte già è adesso, un semplice protettorato sui generis. L’Italia, partner alla pari dei suoi futuri amici europei e unita a loro nelle sfide globali, con il suo peso relativo al di fuori delle semplici dinamiche di potere attuali, vale molto di più.