Marijuana, la battaglia del New York Times contro il proibizionismo
di Giulia Mazzetto
Negli Stati Uniti torna fortemente alla ribalta il dibattito sulla legalizzazione della marijuana: questa volta è niente meno che il New York Times, notoriamente uno tra i più importanti giornali del Paese, a fare una mossa decisa e per certi versi inedita, inaugurando una serie di sei editoriali sull’argomento. Il quotidiano, attraverso una breve introduzione, dal titolo “Repeal Prohibition, Again”, ha enunciato i motivi per i quali l’intero Editorial Board ha deciso di schierarsi così nettamente a favore della legalizzazione federale della cannabis, proibita nel territorio americano dal 1937. Non è ancora del tutto chiaro se l’iniziativa sia attribuibile a tutti i 18 editorialisti componenti la redazione, ma resta il fatto che, almeno per ora, nessun giornalista se ne è pubblicamente dissociato.
Il titolo è eloquente: paragona senza mezzi termini il divieto dell’uso di droghe leggere al proibizionismo in vigore nell’America degli anni Venti. «Ci sono voluti ben tredici anni prima che gli Usa capissero i propri errori e ponessero fine al proibizionismo, tredici anni in cui la gente ha continuato a bere, onesti cittadini sono diventati delinquenti e le organizzazioni criminali hanno prosperato», si può leggere nell’intervento. Il giornale sostiene che la decisione di pubblicare la serie di editoriali sul tema è l’esito conclusivo di un dibattito che mostra una sempre più ampia diffusione in quasi tutti gli Stati americani, principalmente rispetto ai costi per la società e ai risultati della repressione che portano connotazioni razziste, andando a colpire in maniera sproporzionata la popolazione giovane afroamericana o ispanica, ottenendo per di più l’effetto inverso di far prosperare una nuova generazione di criminali.
Negli Stati Uniti, l’illegalità dell’utilizzo e del possesso di marijuana sancita alla fine degli anni Trenta, è stata rafforzata dal Comprehensive Drug Abuse Prevention and Control Act del 1970, una legge approvata sotto la presidenza Nixon e tutt’ora in vigore, che annovera la cannabis e il suo principio attivo, il THC, nella più alta delle cinque categorie elencanti le sostanze pericolose, nonostante vi siano stati vari tentativi di includerla nelle categorie inferiori. «Non ci sono risposte perfette alle preoccupazioni della gente sull’uso di marijuana, ma neanche sul consumo di tabacco o alcol: crediamo comunque che, ad ogni livello, la bilancia penda dal lato della legalizzazione nazionale, che poi permetterà ad ogni Stato di decidere in autonomia se liberalizzare l’uso della marijuana, innanzitutto a scopo terapeutico», si legge nell’articolo introduttivo prevalentemente ad opera di Andrew Rosenthal.
Il pezzo inaugurale, pubblicato domenica 27 luglio e intitolato “Let States Decide on Marijuana”, è stato affidato alla penna di David Firestone, editorialista di politica interna del quotidiano della Grande Mela, ed ha contribuito a mettere sotto la lente d’ingrandimento nazionale non soltanto i referendum per la legalizzazione delle droghe leggere attesi in Alaska e Oregon il prossimo novembre, ma anche e soprattutto la campagna per quello che potrebbe essere indetto a Washington D.C., il distretto della capitale Usa. Già all’inizio di luglio, infatti, i sostenitori della D.C. Cannabis Campaign, grazie alla raccolta di un numero esorbitante di firme, più del doppio di quelle necessarie, avevano proposto l’idea di una consultazione popolare riguardante la legge sulle droghe, da presentare insieme alle elezioni di mid term del 4 novembre.
Tale legge potrebbe consentire ai maggiori di 21 anni di possedere fino a 56 grammi di marijuana per uso personale e di coltivare fino a sei piante a casa e sarebbe valida solo per i cittadini americani che risiedono nel distretto di Columbia e non legittimerà ipotesi di vendita ma soltanto passaggi gratuiti tra singoli individui. Adam Eidinger, il presidente della campagna, sottolinea quindi che questa legge in ogni caso non produrrà una situazione simile a quella venutasi a creare in Colorado, dove si sono notati ricavi in crescita per lo Stato, in forza della tassazione imposta sui prodotti venduti nelle rivendite di marijuana legalizzate dal referendum del novembre 2012 e un contestuale non trascurabile calo del tasso di criminalità. Per quanto tra i dati legati ai due fenomeni non sia ancora dimostrabile alcun nesso diretto, i risultati, registrati dal Colorado Department of Revenue e dalla polizia del suddetto stato americano, sono comunque significativi. Proprio nel 2012, in seguito al successo referendario anche nello Stato di Washington, lo Stato Federale fece sapere che non si sarebbe opposto ad altri provvedimenti relativi alla legalizzazione della marijuana, eventualmente decisi dai singoli stati, limitandosi a diffondere un documento di otto punti fondamentali elencanti delle priorità irrinunciabili per tutte le ipotesi presenti e future di vendita legale di droghe leggere.
L’endorsement del New York Times produce la prima convinta ed aperta scelta a favore della legalizzazione della marijuana, resa ancor più rilevante dalla provenienza di un quotidiano generalmente arroccato su posizioni abbastanza conservatrici sotto il profilo delle liberalizzazioni. È facile quindi intuire che l’autorevolezza della testata da cui proviene il grido anti-proibizionismo, unitamente al fermento serpeggiante in tutto il Paese, porterà il dibattito a nuovi sviluppi.