M5S, novità e déjà vu in democrazia
di Riccardo Venturi
Boom o non boom? Le recenti elezioni amministrative hanno dato un’indicazione molto chiara sulla crescita di un fenomeno trasversale e deideologizzato, il Movimento 5 Stelle.
I primi eletti sono cittadini comuni. Tutti con curricula e credenziali che ci si aspetta per la gestione di amministrazioni locali. Tra i risultati delle amministrative spicca quello di Parma, primo capoluogo di provincia conquistato dal M5S. A Parma dunque c’è il primo sindaco espressione diretta di questo nuovo sentimento, Pizzarotti.
Come ad ogni neoeletto, gli va dato il tempo necessario prima di poter esprimere un giudizio. Per la prima volta un rappresentante del Movimento si troverà a gestire problematiche reali ed eventi concreti che lo porteranno a non essere più un cittadino qualunque, ma un politico giudicabile esattamente quanto gli altri.
Le novità sono tante, le premesse sono diverse rispetto a quelle rappresentate dai vecchi partiti, e questo ci fa convergere su quella che è la novità assoluta dell’elezione di Pizzarotti: le aspettative di chi affida il voto ad un candidato outsider, simbolo della necessità di voltare pagina con la vecchia politica. Scena già vista, ma allo stesso tempo inedita nei dettagli.
Se il neosindaco dovrà aprire la strada alla crescita di questo progetto, gli italiani saranno i primi a dover dimostrare qualcosa e rendere la loro scelta credibile. Dovranno recuperare il diretto interesse per il bene comune, avendo dato con questa elezione un segnale chiaro in tal senso. La democrazia diretta, voluta e conquistata, dovrà dunque tradursi in un impegno ed una dimostrazione costanti del cambiamento nella mentalità delle persone.
A questo punto i sindaci del Movimento diventano automaticamente rappresentanti politici nell’accezione più profonda del termine. Nel momento in cui si presentano in nome di un movimento trasversale di cittadini, tutti potranno verificarne il comportamento, la serietà e i successi nel raggiungimento degli obiettivi preposti. Così come avrebbe dovuto essere da sempre.
Eppure il passato anche recente ha rivelato un rapporto diverso degli italiani con la politica, ed è da qui che iniziano a sorgere dei dubbi riguardo l’effettivo cambiamento della stessa cultura politica. Certamente, ogni limite può rappresentare un inizio, ma un voto che sembra urlare questo malessere radicato, non altrettanto necessariamente rappresenta un improvviso recupero del senso civico.
Se ogni cittadino ha i suoi motivi per essere indignato, il Movimento risveglia comunque una coscienza sociale sopita. Canalizza, anche grazie al fondamentale supporto del web, le pulsioni di un Paese intero che si sente preso in giro.
L’indignazione del cittadino si concentra sulla casta, sulla classe politica. Radice di tutti i mali e obiettivo unico da estirpare, abbattere, radere al suolo come unica strada per la rinascita. Entrare direttamente in politica diventa un’arma del cittadino, in quanto permette di destabilizzare dall’interno le manovre di chi dall’alto dispone quasi a proprio piacimento le sorti di ognuno di noi. Il concetto, anche se controverso nel merito, è in linea con l’ideale più puro di democrazia. L’indignazione canalizzata verso la classe politica però è “di pancia”, risultando limitata e superficiale, anche se legittima. Ci vorrebbe invece una maggiore consapevolezza dell’estensione delle problematiche del Paese e della diffusione di subculture “antisociali” che destabilizzano dal profondo le varie realtà locali, nazionali e globali. Pensare di poter dare una spallata ad un sottosistema che coinvolge larghi strati della società, e non solo qualche centinaio di parlamentari e gli intoccabili amministratori locali, attraverso una semplice formattazione del sistema politico è assolutamente utopistico.
Il cambiamento, seppur con il merito di partire dal basso, mira esclusivamente alla punta dell’iceberg. Il risultato è quello di un indebolimento ulteriore non tanto della casta, quanto degli anticorpi della democrazia rappresentativa, della fiducia delle persone nello Stato e nelle istituzioni. Questo inoltre contribuisce a far perdere di vista quelle che sono le reali e più evidenti urgenze da affrontare, semplicemente perché in questo modo tutto diventa urgente e improcrastinabile.
Bisogna anche aggiungere che generalizzare in modo indiscriminato è controproducente. È vero che la classe politica è malata, ma è anche vero che ci sono esempi di ottime amministrazioni locali. I movimentisti che riconoscono questa situazione negli scandali che ci attanagliano tutti i giorni, dovranno, da questo momento in poi, sorvegliare e mettere sullo stesso piano anche i “loro” cittadini comuni che, una volta eletti, si troveranno nelle stesse condizioni di chi li ha preceduti. Le intenzioni e l’ex qualifica di cittadini comuni non basteranno a fargli disporre di un credito eterno nei confronti della cittadinanza.
A questo punto sorge un’altra implicazione della “normalizzazione” dei candidati cosiddetti “grillini”: nel momento in cui il Movimento fa politica, intesa come servizio alla comunità, deve portare avanti un progetto. Il movimento nasce come trasversale, ma diventa politico. Apparentemente non c’è contraddizione, ma una collettività facente parte del mondo moderno, ovvero frutto di incontri di idee, opinioni, interessi, strategie, aspettative e progetti diversi e contrastanti fra loro, non può trovare una soluzione democratica all’interno di un movimento politico, ma solo al suo esterno. Se c’è unità di intenti ma non di idee, per quanto ammirevole, il progetto di democrazia diretta all’interno di un movimento di cittadini diventa fortemente vuoto e privo di contenuti perché, una volta conquistato il mezzo per cambiare le cose, è difficile intraprendere delle direzioni condivise unanimemente.
La democrazia nel nostro Paese è di tipo rappresentativo e, teoricamente, avrebbe il compito di raccogliere al suo interno interessi e parti in gioco. Pertanto la dimensione che va assolutamente recuperata è proprio questa. Il M5S, una volta avviato e realizzato il suo progetto politico, non può più farsi portavoce dell’istanza di rinnovamento e di passaggio alla Terza Repubblica, dovendo rispondere a degli obiettivi che sono e devono necessariamente essere esclusivi e non inclusivi. Altrimenti significherebbe non avere un programma concreto e rimanere nel limbo della retorica, facendo anche da parafulmine per chi vuole trovare una scorciatoia qualunquista e “ripulire” la propria coscienza politica. Le prime amministrazioni comunali saranno un ottimo campo di prova per verificare il rispetto delle aspettative di chi gli ha pionieristicamente affidato dei compiti concreti.
Per fare politica nel pieno senso della parola non basta solo la partecipazione diretta e la legittima pretesa di trasparenza. È necessario recuperare le idee e quindi anche la progettualità, altrimenti l’effetto è quello di evitare qualsiasi forma di responsabilità. Ciò comporta il rischio di mettere in secondo piano la diversità di pensiero in nome di una non meglio precisata “svolta”, come quelle già cercate e mancate in passato.
Ad oggi, il consenso al M5S è dunque in ascesa, ma esprime un voto d’opinione legato al clima generale del Paese. Per questo rimane difficile pensare ad un inedito, ad un punto di svolta tutto italiano, in quanto inizio di un film già visto. Chi si affida a questa speranza prende giustamente le distanze con le esperienze passate, ma con il senno di poi, possono dire lo stesso coloro che già in precedenza avevano avuto quest’illusione. Nel momento in cui non si è più cittadini ma politici, gli ideali partecipativi passano in secondo piano rispetto alla concretezza dell’impegno di trovare un punto di equilibrio di interessi e necessità di vario tipo; e questo punto di equilibrio non potrà inevitabilmente fare contenti tutti, per quanto sia utopisticamente meraviglioso pensarlo. Il bene comune non può essere limitato ad un’opera di pulizia, ma anche i più puri idealisti si troveranno di fronte ad un gioco di scelta ottimale. Qui ci si accorge che, per cambiare veramente, si devono mettere in discussione e rivedere le regole del gioco, e non solamente i giocatori. Per questo quando il M5S finisce di essere un movimento d’opinione e diventa un movimento politico cambia la sua natura. Se si vuole davvero essere inclusivi e trasversali, in opposizione ai ruderi della vecchia classe dirigente, l’obiettivo vero si trova al di fuori dei municipi o del Parlamento e comporta un lavoro molto più grande che diventerebbe una vera e propria battaglia a tutto campo, opposta all’opera di destrutturazione culturale, sociale e mediatica attuata in questi ultimi tre decenni. Una lotta che non si limiti alla sacrosanta riduzione dello stipendio dei deputati o alle cinque famose stelle, ma che includa dettagliatamente e in maniera onnicomprensiva questioni come l’evasione fiscale, il lavoro nero, la mafia, l’economia sommersa, gli sprechi al di fuori della politica, una diffusa cultura omertosa, diffidente, autoreferenziale e razzista. Tutte cose che vanno a toccare direttamente anche il cittadino indignato e non solo l’inavvicinabile politico. Essendo un fenomeno nuovo e democratico nessuno può mettere in dubbio o contestare la sua integrità o il suo progetto, ma indubbiamente il Movimento 5 Stelle porta con sé delle ambiguità che sono lontane dall’avere risposta.
Eppure l’espressione civile e democratica di questo malessere è comunque un segnale positivo, perché potrebbe portare una reale spinta per un cambiamento culturale e di mentalità. Ci si accorgerà che, per conseguire una vittoria comune, bisognerà riprendere in mano gli strumenti democratici esistenti che permettono a tutti di scegliere in nome della diversità e non di una collettività indistinta. Se ci dimostreremo davvero capaci di portare avanti idee anche contrastanti ma concrete, in un campo in cui dovranno vigere delle regole precise, ben chiare, pretese e osservate da tutti, allora, chi ha abusato della sua posizione, potrà sì, cominciare a temere. Si potrà così sperare di riprendere in mano quello che avevamo finora volontariamente tralasciato con estrema superficialità e pressappochismo.