Europa: ora o mai più
di Riccardo Venturi
In un clima di pesante incertezza economica e politica è assolutamente pacifico porsi una domanda banale, ma allo stesso tempo centrale nel determinare quelle che saranno le scelte e le misure fondamentali da adottare per non lasciare affondare i singoli stati nel mare dell’ormai tristemente nota crisi finanziaria globale: riuscirà a sopravvivere l’Europa?
Quando ci troviamo ad affontare periodi di instabilità diffusa è difficile rispondere ad una domanda così generica, ma il fatto che ci sia l’Europa al centro di tale domanda rende il tutto ancora più complicato.
Il nostro continente si porta geneticamente dietro secoli di lacerazioni e fratture interne. Se la ripetuta sovrapposizione ed il continuo confronto di culture, popoli, tradizioni, lingue ed idee hanno permesso al Vecchio Continente di diventare il fulcro della vita culturale, politica e filosofica occidentale, oggi paghiamo questa disunità in termini di difficoltà strutturali all’interno del progetto europeo stesso.
I grandi pensatori europeisti, come per esempio Spinelli, Rossi e Monnet, avevano esattamente compreso l’importanza di superare le barriere e le divisioni che fino all’epoca avevano caratterizzato il loro continente. Spinti da una grandissima capacità di guardare al futuro e facendo tesoro degli errori e delle drammatiche esperienze politiche che avevano caratterizzato il ventesimo secolo, riuscirono a plasmare un progetto di identità concreto che andasse oltre la semplice utopia già presente nelle fantasie di protoeuropeisti di altre epoche. Un’Europa sventrata dalla guerra, indebolita e ridotta alla fame sentì a quel punto l’esigenza di volgere la prospettiva al futuro e lasciarsi alle spalle i disastri fratricidi. Inoltre va considerato che al tavolo dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale si sedeva e presentava il conto anche l’Unione Sovietica di Stalin. Lo spettro del socialismo diede impulso agli Stati Uniti, potenza che ormai non poteva più essere considerata come emergente sul piano globale, nell’accettare e favorire un progetto unitario che potesse allo stesso tempo bloccare le possibili influenze “rosse” e congelare la ripresa di nostalgie reazionarie immediate.
Nel 2011 possiamo analizzare con freddezza l’evoluzione storica dell’Europa fin dai suoi primi passi. Durante i primi decenni una guerra ideologica fra i due grandi blocchi aveva paralizzato il mondo, fino a quando con il crollo del comunismo si pensò ad un’affermazione stabile del modello occidentale. In quel momento sembrava che l’Europa potesse mettere le ali e spiccare il volo, evolvendosi dalla sua funzione di mero mezzo di cooperazione economica. Eppure oggi ci sembra che l’Europa, insieme all’Occidente nel suo insieme, abbia perso quel ruolo cardine che le garantiva un’apparente stabilità, nonostante le eterne divisioni politiche mai superate.
È proprio questo il punto da cui partire per entrare bene nei meccanismi della crisi. Chiedersi se l’Europa sopravvivrà alla tempesta è una domanda sbagliata se posta senza le giuste premesse. Quello che bisogna veramente chiedersi è innanzitutto se l’Europa esiste.
Per il momento sembra impossibile pensare ad un continente capace di superare le istanze ideologiche conservatrici e protezioniste e quindi in grado di reagire unito alle difficoltà. Il che si traduce concretamente nello stabilire priorità diverse, nel dare risposte diverse e nell’agire in modo contraddittorio se non autodistruttivo. Ogni Stato è storicamente geloso della sua sovranità. La retorica impone determinate priorità, tra cui la perpetuazione dell’illusione di centralità che ogni stato pensa di avere nella tradizionale visione eurocentrica dell’attualità globale. Ma la sovranità non è altro che la volontà di decidere autonomamente; gli Stati possono fregiarsene solo se hanno concretamente questa possibilità. Attualmente gli Stati Europei non sembrano in grado di poterlo fare perché il risultato ci porta esattamente a ciò che stiamo fronteggiando adesso. Le nazioni europee hanno la caratteristica indelebile di avere in qualsiasi epoca, persino questa, nostalgie imperialiste ed una grandeur che in realtà rappresentano solo un’insensatezza anacronistica, frutto dei fasti passati.
La realtà è ben diversa dalla prospettiva illusoria appena presentata. L’impossibilità di rappresentare una forza unitaria ci ha esposto alla mercé di politiche ottuse di concorrenza strategica ed economica che hanno lasciato larghi spazi agli speculatori ed ai populisti. Questi, per motivi di evidente opportunità, hanno rovesciato l’idea stessa di Europa descrivendola come la causa principale di tutti i problemi nazionali e non come la principale vittima dell’incompetenza di classi politiche che, trovandosi di fronte ai presagi di questo scenario, hanno fatto finta di niente voltandosi dall’altra parte.
Gli scenari della situazione attuale sono inquietanti. Le crisi economiche e politiche hanno sempre pesato sulle democrazie. Sull’Europa aleggiano gli spettri di nazionalismi e tensioni sociali che in realtà non hanno mai del tutto abbandonato il continente e che hanno continuato ad essere latenti aspettando di trovare il momento giusto per riesplodere e ripresentarsi in forme minacciose. Le analogie con la crisi economica e di instabilità politica degli anni ’30 del secolo scorso, pur rimanendo distanti nel contesto e nelle modalità, sono spaventose per chi ha memoria storica.
Le difficoltà da affrontare a livello più immediato comunque sono senza dubbio quelle che riguardano l’unione economica e monetaria europea che paga soprattutto l’assenza totale di politiche unitarie e di una forte governance sovranazionale. Il collasso del sistema economico europeo arrecherebbe danni irreversibili alle economie dei singoli stati, i quali inizierebbero a toccare con mano il frutto di politiche contraddittorie portate avanti egoisticamente in uno scenario comune; c’è chi ipotizza anche una nuova cortina di ferro tra i Paesi Europei occidentali e quelli orientali: l’investimento di ingentissime somme di capitale da Ovest verso Est ha creato sempre più intedipendenza e aspettative delle nazioni dell’Est Europeo nei confronti di quelle occidentali. Aspettative che, con la crisi e con il rientro dei capitali, sono state deluse creando spesso e volentieri anche tensioni sociali. In ogni caso i contraccolpi si sentirebbero soprattutto in Occidente e le economie della maggior parte dei paesi non sarebbero semplicemente messe in ginocchio come sta accadendo adesso, ma verrebbero a quel punto definitivamente lasciate in balia di una nuova polarizzazione politica che, attraverso i suoi nuovi esponenti, non dovrebbe rendere conto delle proprie decisioni ad una figura istituzionale sovranazionale. Il rischio che nelle faglie della crisi si inseriscano populismi con facili “ricette” o cavalcatori delle tensioni sociali è quindi forte.
Eppure lo scenario non deve essere considerato apocalittico. L’Europa non esiste in termini concreti, ogni stato ha dato dimostrazione di voler mantenere ossessivamente ogni forma di sovranità anche nei momenti in cui bisognerebbe allargare i propri orizzonti politici. Ma sarà l’Europa stessa, nella sua interezza, che dovrà rendersi conto di non poter fallire. È impossibile che i singoli stati si facciano carico di un lavoro di recupero come ci stanno provando Francia e Germania, perché vorrebbe dire perseverare nello stesso errore fino all’evidenza. I paesi europei sono troppo interdipendenti per potersi permettere di essere trascinati giù negli abissi di questa crisi. Stati Uniti, Cina, Russia e altre potenze emergenti come l’India, la Turchia, il Brasile ed altri stati rappresentano la possibilità concreta di un ordine centrifugo della governance mondiale. L’Europa divisa ed in crisi non ha i mezzi per rimanere al centro dello scenario economico e politico mondiale. Ogni Stato sa di non avere le capacità per evitare un processo che a quel punto rappresenterebbe un declino irreversibile. È in questo momento che entra in gioco la sterzata decisiva: nulla di razionale fa pensare ad un volontario suicidio di paesi che dovranno per forza di cose capire che la vera sovranità consiste nell’attuazione di politiche decise unitariamente e sulla base di priorità ed interessi che potranno avere voce solo se definiti e stabiliti di comune accordo.
Gli sforzi per salvare le economie più in crisi e la volontà di non abbandonare paesi come Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna al loro destino determinando il fallimento dell’Euro, è un’ulteriore riprova di come ci si stia muovendo gradualmente verso quest’idea di unitarietà. La posta in gioco è troppo alta per poter rischiare e mettere sul piatto la propria importanza e centralità economica. Certi standard potranno essere mantenuti solo all’interno di un contesto comunitario. Probabilmente anche le stesse misure economiche imposte agli stati “indisciplinati” sono un segnale di come le istituzioni europee incentivino una gestione economica ottimale che permetta a tutto il sistema UE di funzionare meglio e di avviarsi verso una ripresa. L’importante è non cadere nella retorica demagogicamente trasversale dell’assenza di democrazia, del complotto globale e della mancanza di sovranità. La colpa non può essere data ad un’idea mai concretizzata nella sua forma iniziale, ma le responsabilità vanno ricercate dove il progetto politico è stato ostacolato e boicottato; ed è proprio questo il momento in cui chi ha tali responsabilità sta cercando di assestare il colpo di grazia all’Europa. Europa che non è solo l’espediente o il mezzo per sopravvivere e limitare i danni, ma idealisticamente è anche un sogno ed una speranza per chi, citando il cantautore Bertoli, “ha un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.