Pubblicato il: Ven, Mag 3rd, 2013

Amnesty, Siria il paese dove muoiono più giornalisti

di Valeria Vellucci

(Rsf)

Oggi, 3 maggio, l’UNESCO promuove la ″Giornata Mondiale della Libertà di Stampa″. Amnesty International, in occasione dell’iniziativa che ricorda quanto la libertà di informazione e di stampa sia uno tra i diritti fondamentali, diffonde il suo rapporto ″Shooting the Messenger Journalist Target by all side in Syria″.

Nel 2012 sono stati 68 i giornalisti uccisi in tutto il mondo, di cui 36 nella sola Siria. Assassinati in veri e propri attacchi mirati, per puro sospetto oppure per far sì che le atrocità e gli abusi commessi non vengano posti all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Detenuti arbitrariamente, torturati, uccisi, scomparsi, rapiti e minacciati: piena violazione del Diritto Internazionale, dei Diritti Umani ma soprattutto del diritto di ogni individuo alla Libertà di Espressione.

I crimini e gli attacchi provengono maggiormente dalle autorità siriane, ma anche da gruppi armati dell’opposizione. Nomi di uomini e donne, giornalisti internazionali e non, sono quelli che compaiono nei lunghi elenchi esposti nel rapporto di Amnesty. Di alcuni ogni traccia si è perduta da giorni, di altri da mesi oppure addirittura anni. All’elenco si è ora purtroppo aggiunto Domenico Quirico, nostro connazionale e giornalista de ′La Stampa′ inviato ad Homs. Di Quirico non si hanno notizie dall’8 aprile.

Sin da quando in Siria fu dichiarato lo stato di emergenza, 1963, radio, televisione e stampa furono vittime di un controllo serrato e quindi impossibilitate nello svolgere un costante e libero lavoro di informazione. Ma, seppure attualmente suddetto stato di emergenza non sia più in vigore, revocato di fatto nel 2011, la situazione non è certo andata incontro ad una maggiore apertura, precipitando drasticamente con l’inizio della guerra civile. Neppure le leggi nate con l’intento di estendere la libertà di espressione sono servite a fare in modo che la situazione cambiasse concretamente.

Conseguentemente alle restrizioni imposte e all’impossibilità da parte dei giornalisti di svolgere il lavoro di informazione, un nuovo fenomeno è venuto a generarsi, il cosiddetto ″citizen journalism″: giornalisti non professionisti si prodigano, mettendo a rischio la propria vita, nel riportare informazioni e notizie sui social network.

Testimonianze dirette sono inoltre quelle che giungono da coloro che hanno subito in prima persona torture e violenze: Salameh Kaileh, giornalista e scrittore palestinese arrestato il 24 aprile 2012, detenuto a Damasco, costretto a denudarsi in una cella dinanzi ad altri 35 uomini, bendato e sottoposto alla falaqa (colpire violentemente la pianta dei piedi). Ed ancora, il presentatore televisivo Mohammad el-Sa’eed rapito all’interno della sua abitazione di Damasco nel luglio 2012 ed ucciso da un gruppo islamista armato dell’opposizione.

Un ulteriore appello è lanciato da Ann Harrison in persona. Il vice direttore del programma di Amnesty International in Nord Africa e Medio Oriente, si esprime così riguardo alle violazioni in corso: «Attacchi deliberati contro civili, compresi giornalisti, rientrano nei crimini di guerra per i quali i responsabili devono essere giudicati». Ci si rivolge inoltre alla comunità internazionale, al fine di spronare ad un’assunzione di misure concrete in modo tale che, sia da parte delle autorità siriane che dei gruppi armati di opposizione, si risponda dei gravi crimini commessi.

La situazione siriana, secondo Harrison, dovrebbe inoltre essere portata dinanzi ad una Corte Internazionale: le prove per farlo esistono, sono tangibili e presenti ogni giorno dinanzi agli occhi di tutti, compresa opinione pubblica internazionale.