Caso Soile Lautsi: intervista ai ricorrenti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
di Serena Santoro
È il 2006 quando Soile Lautsi, sostenuta dal marito Massimo Albertin, si rivolge alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per chiedere la rimozione del crocifisso dalle scuole pubbliche italiane. Una vicenda che, iniziata nel lontano 2002 ad Abano Terme (Padova), approda a Strasburgo dopo l’esaurimento delle vie giurisdizionali interne. A marzo del 2011 l’Italia vince il ricorso.
- La CEDU risolve le questioni in base al margine di apprezzamento. La Corte, infatti, emana la sua sentenza in base alle varie soluzioni legislative adottate dagli Stati membri. Se non c’è una giurisprudenza europea comune sulla tematica, la Corte lascia spazio alle autorità nazionali. Quanto pensate che questo metodo abbia influito nel vostro caso, soprattutto nell’ultimo esito negativo conseguente al ricorso del Governo italiano? Come pensate che la Cedu dovrebbe risolvere le questioni che le vengono sottoposte? È giusto innovare il sistema con qualcosa che non è ancora presente e “accettato” nei vari Stati europei? Come conciliare i valori religiosi di uno Stato con il principio universale di laicità?
Il nostro pensiero riguardo al margine di apprezzamento coincide con quanto affermato dal giurista Nicola Colaianni nell’articolo “Il crocifisso in giro per l’Europa: da Roma a Strasburgo (e ritorno)” pubblicato sul sito “statoechiese” nel novembre 2010, in particolare quando, riferendosi ancora alla sentenza di primo grado, afferma:
“… Richiamando, invece, i propri precedenti sul controlimite della democrazia, e quindi sul pluralismo educativo, la Corte non ha bisogno di esaminare la plausibilità di eventuali restrizioni – che tutte si infrangerebbero contro il muro della democrazia – né può consentire un apprezzamento diverso da Stato a Stato. Non si possono fare sconti sui principi e, in particolare, sul modo di attuare quel pluralismo da parte dei singoli Stati. Non si può concedere agli Stati il potere di apprezzare il pluralismo differentemente l’uno dall’altro, di farne un valore negoziabile, rientrante nel patrimonio disponibile di ciascuno stato. Il ricorso del Governo italiano si è (invece) mosso, in sostanza, proprio attorno alla richiesta del riconoscimento del “margine di apprezzamento” dei principi della Convenzione europea dei diritti umani da parte dei singoli Stati: cioè del “potere discrezionale, che in altri casi la Corte ammette per gli Stati membri in settori come le relazioni tra Stato e Chiesa”.
Nel nostro caso, vista la sentenza di primo grado del 2009, riteniamo che quello del margine di apprezzamento sia stato solo un pretesto, un aggancio giuridico utilizzato per poter emettere una sentenza che riteniamo fosse già decisa a priori, a livello “politico”, sotto la pressione della Chiesa Cattolica e dei paesi ad alto livello di clericalizzazione quali quelli che hanno appoggiato l’Italia nel ricorso. A tale riguardo basta leggere la (per noi) farneticante “opinione concordante” del giudice maltese Bonello, per rendersi conto di quanto affermiamo.
Noi pensiamo che le Corte Europea di Strasburgo dovrebbe risolvere le questioni che le vengono sottoposte senza ricorrere al margine di apprezzamento, altrimenti il suo ruolo di difesa dei diritti fondamentali rischia, come nel nostro caso, di essere eccessivamente limitato e reso sostanzialmente inutile.
I valori religiosi di uno Stato vanno difesi, ma evitando che questi calpestino in alcun modo i valori universali, e quindi i diritti individuali, sanciti dalla Convenzione. Perciò, se si rilevano contrasti o contraddizioni, i diritti dell’individuo dovrebbero prevalere su quelli religiosi.
Per “conciliare i valori religiosi di uno Stato con il valore universale della laicità” a nostro parere va fondamentalmente rispettata la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma senza ricorrere a trucchi o a escamotage come quello del margine di apprezzamento.
Vogliamo ricordare infine che la Corte in prima istanza non aveva affrontato la pur denunciata violazione dell’articolo 14 che riguarda la discriminazione degli alunni, ritenendola assorbita nella sentenza. Nel ricorso, pur dandoci torto sull’articolo 9 e sull’articolo 1 del protocollo 2 che ci avevano visti vincitori in prima istanza, la Corte non ha purtroppo ripreso in considerazione l’articolo 14.
- Il Giudice del Tar Veneto, il primo investito della questione, nella sua sentenza a favore dell’affissione del crocifisso nelle scuole aveva argomentato che esso non nega la laicità in quanto, la religione impersonata da Cristo, rappresenterebbe l’emblema della tolleranza e dell’amore verso il prossimo. Secondo il giudice, il crocifisso è l’uguaglianza, la laicità stessa. Cos’è invece per voi la laicità, e perché a vostro parere è inconciliabile con l’esposizione del crocifisso?
In ambienti “obbligati” come le scuole, gli ospedali, le carceri, laddove cioè l’individuo non ha possibilità di scelta in alternativa al sottostare alla sua presenza, affermare che l’esposizione del crocifisso non nega la laicità è quantomeno paradossale.
Non possiamo negare o contestare quanto i cattolici vedono nel crocifisso (tolleranza e amore), ma allo stesso modo i credenti non possono negare quanto noi vediamo nel crocifisso e cioè prevaricazione. Di conseguenza nessuno può affermare l’universalità dell’interpretazione del simbolo, in quanto ciò significherebbe l’imposizione di una visione di parte anche a chi non ammette e non condivide quella visione.
Le convinzioni personali dei giudici non dovrebbero influenzare le sentenze e in nessun modo per noi il crocifisso può essere considerato segno di amore, vista la nostra chiave di lettura di quel simbolo.
Quanto al concetto di tolleranza, così come viene espresso da parte dei credenti noi lo abbiamo sentito soprattutto come una forma di sopportazione: i non credenti vengono sopportati finché non disturbano. Siamo quindi lontani da una tolleranza intesa come parità di accesso ai diritti anche per chi è “diverso”. E se non c’è parità, inevitabilmente c’è un’imposizione da parte del più forte; di conseguenza vengono calpestati i diritti fondamentali delle minoranze.
Quanto al concetto di laicità, per noi vale la definizione molto completa che ne dà il grande dizionario della lingua italiana Battaglia sotto la voce “laicismo” (che non ha quel valore dispregiativo che gli viene spesso assegnato, cercando di contrapporlo a quello di una non meglio definita sana laicità):
“Complesso di atteggiamenti e di concezioni caratterizzati dalla rivendicazione della dignità intrinseca ed eminente e della completa autonomia dei valori temporali e profani rispetto a quelli religiosi (specie quali sono proposti dalle religioni positive); cioè, sul piano filosofico-culturale, dalla negazione di verità divine rivelate (o comunque dal disinteresse per esse); dal rifiuto di istituzioni autoritariamente competenti a proporle, a interpretarle e a imporle; dalla rivendicazione della ragione e del suo libero esercizio critico (o comunque delle facoltà umane naturali) come unica fonte (o, in ogni caso, come mezzo privilegiato e superiore) di conoscenza; sul piano politico-ideologico, dal rifiuto del modello medievale di società civile confessionale e, in genere, di ogni ingerenza da parte della religione e delle sue istituzioni (in particolare da parte della Chiesa cattolica) nella vita politica, sociale o culturale, o dalla concezione dello Stato come comunità che persegue propri fini autonomi e immanenti, dotata di un ordinamento aconfessionale, di istituzioni separate da quelle ecclesiastiche e di un potere politico sovrano o del tutto indipendente rispetto alla Chiesa.”
- Vi ritenete sostenitori della laicità alla francese o all’americana? Nessun simbolo, soprattutto a scuola, in quanto l’educazione deve essere “estremamente” laica o rappresentazione di tutte le religioni nel reciproco rispetto? Non è possibile armonizzare cattolicesimo, altre religioni e ateismo? In che modo si può lasciare libero spazio a ciascuno di professare o non professare il proprio credo nel reciproco rispetto?
Le due forme di laicismo citate nella domanda trovano fondamento nella diversità della storia dei due paesi. E puntano ad ottenere fondamentalmente lo stesso effetto finale che è quello a cui anche noi puntiamo: evitare l’ingerenza delle religioni nella vita civile. Tuttavia, la nostra vicinanza geografica e la comune appartenenza all’Europa ci fa forse preferire la francese. In ogni caso la definizione di laicismo riportata in risposta alla domanda 2 dovrebbe chiarire il concetto.
Riguardo alla domanda “nessun simbolo o rappresentazione di tutte le religioni” dobbiamo ricordare alcune cose importanti: è stata spesso avanzata l’ipotesi di poter esporre a fianco del crocifisso il simbolo o i simboli di altre religioni o un simbolo di concezioni del mondo atee. Ma questa richiesta è stata sempre respinta. L’esempio forse più famoso è stato quello dell’islamico Adel Smith a cui è stato rifiutato di esporre, nelle aule frequentate dai suoi figli, un versetto del corano da lui proposto. Più recentemente è stata la vicenda del giudice Luigi Tosti a tenere banco, dopo il suo tentativo, anch’esso abortito, di esporre una menorah ebraica a fianco del crocefisso nel tribunale in cui esercitava il suo ruolo. Ed anche la sentenza definitiva di Strasburgo su questo punto si sbilancia arrivando ad esprimere affermazioni in parte non veritiere, come ad esempio quando dice: “secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni – le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole… Qualcuno può portare esperienza diretta di quanto affermato dal nostro Governo e ripreso, senza controllo, dalla Corte di Strasburgo? A noi non risulta esistere nulla di quanto asserito nella sentenza.
L’esposizione di simboli di svariate religioni a nostro parere non è comunque una soluzione adatta. L’ambiente scolastico dovrebbe essere neutro e non privilegiare alcuna religione. Questo è l’unico modo semplice ed efficace di evitare discriminazioni.
L’atteggiamento di altre religioni nei confronti dell’esposizione del crocifisso in particolare e del laicismo in generale dipende dal livello di progresso civile che esse hanno raggiunto e lo si è notato nella posizione assunta da alcune di queste in reazione alla nostra azione legale: non abbiamo notizie dirette sugli ortodossi che comunque si sono affiancati ai cattolici nell’inedito schieramento di Stati europei a fianco dell’Italia in occasione del ricorso alla prima sentenza di Strasburgo; non siamo però a conoscenza di esempi di un atteggiamento “laico” degli ortodossi nei rapporti con lo Stato. Anche i musulmani in generale, salvo eccezioni alla Adel Smith, si sono schierati a fianco dei cattolici.
I protestanti invece (in particolare quelli italiani cioè i valdesi) arricchiti da una storia di persecuzione e perciò più consci della facilità con cui una minoranza può subire sopraffazioni e prevaricazioni, hanno fortemente criticato la sentenza definitiva di Strasburgo e la posizione tenuta dallo Stato italiano; e si sono schierati a favore della nostra posizione.
La possibilità di armonizzare le religioni fra loro e con l’ateismo si può applicare nel momento in cui nessuno viene privilegiato dallo Stato. Ma in Italia ad esempio non è così, in quanto si sono creati 3 livelli di preferenza:
Il primo livello è quello di “religione massimamente privilegiata” che spetta a quella cattolica in base all’art. 7 della Costituzione. Esso viene regolamentato dai Patti lateranensi. E dà ai cattolici un’enorme quantità di prerogative e vantaggi, sia di tipo economico (il finanziamento dell’8 x mille nel suo meccanismo applicativo, la quota dell’8% di oneri di urbanizzazione destinata solo alla Chiesa cattolica, le esenzioni da varie forme di tassazione, come quella sulle donazioni ed eredità, fino al mancato pagamento dell’ICI anche per attività a carattere commerciale) sia di potere, come la possibilità di scegliere o ricusare gli insegnanti di religione cattolica della scuola pubblica (pagati però dallo Stato), la possibilità di avere emissari (sempre pagati dallo Stato) negli ospedali, nelle carceri e nelle forze armate.
Il secondo livello, un gradino più in basso, spetta alle religioni “di serie B” che, in base all’art. 8 della Costituzione, hanno ottenuto un’intesa con lo Stato italiano e possono quindi accedere ad alcuni vantaggi, ma comunque non paragonabili a quelli della religione cattolica.
Il terzo (infimo) livello è quello in cui sono relegati gli atei e gli agnostici che non hanno neppure il diritto di essere ufficialmente riconosciuti come insieme di cittadini e che non possono neppure aspirare ad ottenere un’intesa con lo Stato italiano.
Riguardo alla proposta su come lasciare ciascuno libero di professare o non professare il proprio credo nel reciproco rispetto, potremmo fare un esempio che speriamo sia chiarificatore, di come avvengono le cerimonie funebri in un paese cattolico come il Belgio: lì spesso le esequie avvengono in una “sala del commiato” che è spoglia, priva di simboli ed utilizzabile da chiunque ne faccia richiesta. Nella sala sono messi a disposizione (non esposti, ma immagazzinati) paramenti e simboli di vari tipi che, al bisogno, possono venire utilizzati per l’occasione e poi riposti al termine della cerimonia, lasciando spoglia e pronta per l’uso da parte di altri la stanza utilizzata. Questa soluzione comporta sicuramente una diminuzione dei costi sociali (non c’è un edificio per ogni religione, ma uno che vale per tutti) e non concede a nessuno alcun tipo di privilegio: tutti sono trattati allo stesso modo.
Ecco un esempio di come ciascuno possa professare il proprio credo nel rispetto reciproco e nell’uguaglianza di trattamento da parte delle istituzioni pubbliche.
A scuola comunque secondo noi andrebbe abolita l’ora di religione cattolica che attualmente crea una discriminazione profonda a causa del boicottaggio a cui è sottoposta l’ora alternativa. A che livello possa arrivare tale discriminazione lo si può dedurre anche dalla recente sentenza di condanna comminata ad un istituto che, di fatto, obbligava tutti gli allievi a frequentare l’ora di religione cattolica.
- Come rispondete a chi ritiene che il laicismo militante sia equiparabile ad una religione? È una critica fondata?
In Italia quello che viene chiamato laicismo militante è di fatto rappresentato da un’associazione di atei e agnostici che si chiama UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) e che al primo punto delle sue tesi fa un’affermazione che non mi risulta la accomuni ad alcuna religione: “In un Paese migliore, l’UAAR non dovrebbe nemmeno esistere”.
Ciò significa che la presenza di un cosiddetto laicismo militante è solo conseguenza della presenza di una religione preponderante. Se vogliamo fare un paragone è un po’ come la vecchia e ricorrente accusa di anticlericalismo. Come potrebbe questo esistere senza la presente invadenza del clericalismo?
E come dice il segretario dell’UAAR, ci sono tanti ateismi e agnosticismi quanti sono gli atei e gli agnostici. I quali non possiedono verità né libri sacri né dei di riferimento. Quindi dove e come sarebbe equiparabile il laicismo, seppur militante, alla religione?
L’unico paragone che si può fare a livello politico-filosofico è che quelle atee e agnostiche sono delle “concezioni del mondo”, così come lo sono quelle religiose e come tali vanno (andrebbero!) rispettate e garantite da uno Stato civile allo stesso modo.
Ritengo quindi che chi fa tale affermazione (per me infondata) dovrebbe sviluppare degli argomenti validi a sostegno della sua tesi, altrimenti è da ritenere un’affermazione senza fondamento.
- Il principio di laicità non è espresso nella nostra Costituzione ma la Corte Costituzionale lo ha desunto dagli articoli 2, 3, 7, 8 e 19. Quanto pensate che sia importante una riforma costituzionale al fine di esplicitarlo? Avete mai pensato a petizioni o a proposte referendarie con l’appoggio delle associazioni laiche?
Purtroppo l’unico tentativo serio di una riforma in tal senso è stato effettuato molti anni fa dal Partito radicale con la raccolta di firme per l’abrogazione del Concordato dello Stato italiano con la Chiesa cattolica; ma il referendum non venne approvato dalla Corte Costituzionale e quindi non si tenne. Sarebbe perciò velleitario ed inutile ritentare quella strada.
In effetti, il costituzionalista Michele Ainis nel suo libro “Chiesa padrona” ha sostenuto la tesi che l’articolo 7 della Costituzione, quello che regola i Patti lateranensi, fosse una norma provvisoria e sia quindi da considerare oggi come “un farmaco scaduto”. Purtroppo questa tesi non viene applicata come ci sembrerebbe giusto.
Ma per qualsiasi azione di riforma dei rapporti tra Stato e Chiesa, è comunque necessaria una classe politica che non sia asservita ai voleri del Vaticano, ma sia indipendente dalle sue pressioni, così come è ad esempio successo in Spagna con il governo socialista di Zapatero. Ma in Italia la pressione clericale è ancora così forte ed influenza così tanto le scelte politiche di tutti i partiti, senza distinzione di schieramento, con la sola eccezione del partito radicale, da rendere oggi quasi impensabile un’azione di tal genere.
Questo è anche il motivo per cui noi abbiamo intrapreso a suo tempo l’azione giuridica per la rimozione del crocifisso: poiché la politica e le forze sociali sono totalmente latitanti nel campo della laicità, ogni cittadino dovrebbe fare quanto gli è possibile per ottenere individualmente il rispetto dei suoi diritti fondamentali, sperando comunque che la giustizia non sia asservita, come la politica, all’influenza clericale. Cosa che non è avvenuta nel nostro caso, visti gli atteggiamenti del TAR, del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale che nel nostro caso ha emesso un’ordinanza che è stata giustamente definita pilatesca.
- Dopo la vostra decisione di adire alla Corte avete ricevuto minacce. Vi sentite protetti dalle istituzioni?
Ci era stata promessa l’esposizione di manifesti con la scritta “Wanted” in una cittadina vicino alla nostra da parte di un sindaco (che è anche deputato leghista) a cui abbiamo chiesto un risarcimento. Ma conosciamo la velocità della giustizia civile in Italia.
L’unica istituzione che si è mossa per difenderci è stata la guarnigione di Carabinieri della nostra città che ha svolto il suo compito di protezione verso di noi cittadini minacciati con telefonate e lettere anonime, intensificando il pattugliamento attorno alla nostra casa che era stata vandalizzata con la vernice.
Peraltro non ci siamo per nulla sentiti protetti dalle istituzioni visto che ai tempi della prima sentenza di Strasburgo, che ci aveva visti vittoriosi, vari sindaci ci hanno attaccato sui giornali, dei deputati ci hanno dileggiati e il ministro della difesa La Russa ha sbraitato in diretta televisiva su RAI 1 che “… possono morire loro e quegli organismi internazionali che non contano nulla!”. Quindi la reazione della maggior parte di rappresentanti istituzionali fu totalmente scomposta ed indegna di un paese civile.
Abbiamo anche scritto una lettera al Presidente Napolitano chiedendogli un’espressione di solidarietà che però non è mai arrivata. È arrivato invece il suo esplicito appoggio al ricorso del governo. E recentemente la dimostrazione della sua parzialità, visto che è andato ad inaugurare il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Qualcuno riesce ad immaginare il Presidente della Repubblica che presenzi all’inaugurazione di un congresso di atei? Eppure atei ed agnostici rappresentano circa il 15% della popolazione, vale a dire circa 9 milioni di italiani. Certo ben più degli appartenenti a CL.
Per quanto riguarda il futuro non abbiamo più intenzione di muoverci. Noi a suo tempo avevamo raccolto il testimone lasciato dalla coraggiosa azione della famiglia Montagnana. Adesso tocca a qualcun altro raccogliere il nostro. Come si usa dire quando si parla della beneficenza: “noi abbiamo già dato!”
- Come rispondete a chi definisce il crocifisso ‘un simbolo identitario e culturale del Paese’?
Che si sbaglia.
Si tratta di un simbolo identitario dei soli appartenenti alla religione cattolica, non dello Stato italiano. Fra gli stessi cattolici poi ci sono molti esempi di esponenti che non ritengono opportuna la sua esposizione negli edifici pubblici (don Lorenzo Milani, che non aveva crocifissi appesi nella sua famosa scuola; don Paolo Farinella, autore del libro Crocifisso tra potere e grazia; o recentemente il regista cattolico Ermanno Olmi alla mostra del cinema di Venezia, ecc.).
- La questione del crocifisso è stata da sempre oggetto di strumentalizzazione politica. Cosa pensate di quei partiti che usano impropriamente il crocifisso per anteporre la propria nazione e la propria storia contro altri paesi?
Pensiamo che essi si dimostrino i migliori rappresentanti e testimoni di quanto sia falsa l’affermazione contenuta nella seconda domanda (il crocifisso … sarebbe l’emblema della tolleranza verso l’altro, dell’amore verso il prossimo).
Chi meglio di costoro può dimostrare come il crocifisso sia utilizzato come simbolo di divisione e discriminazione?
- Il crocifisso: per i cattolici un simbolo di tolleranza e amore, per le minoranze atee un’imposizione. Richiedendovi uno sforzo, sapete riconoscere una qualità positiva del crocifisso e una qualità negativa del laicismo militante?
Possiamo riconoscere che il laicismo militante, quando (ma soprattutto se) trascende, superando i limiti dovuti al rispetto dei diritti individuali (ad esempio nel caso qualcuno volesse limitare la libertà di culto) allora assume caratteristiche innegabilmente negative. Ma nel contempo perde anche la sua caratteristica di “laicità”, vale a dire non è più la stessa cosa. Diventa un’altra forma di prevaricazione che noi naturalmente non approviamo.
Spesso però, col meccanismo dialettico dell’”uomo di paglia” i militanti clericali attribuiscono al laicismo delle caratteristiche che ne sono estranee, come nell’esempio sopra riportato. E vi contrappongono un’altra figura da loro inventata, quella della “sana” laicità, locuzione creata ad hoc per distinguere ciò che per la lingua italiana sarebbe tradizionalmente indistinguibile: laicità e laicismo.
Riguardo a una qualità positiva da attribuire al crocifisso, lasciateci più tempo per pensarci. Quando ci verrà in mente qualcosa ve lo faremo sapere.
- L’affissione del crocifisso è dovuta a due regi decreti risalenti al ventennio fascista, e perciò anteriori alla Costituzione italiana del 1948; l’intento era quello di stabilire un regime confessionale. Quali sono le motivazioni tecniche che mettono in dubbio l’obbligo di affissione del crocifisso?
Noi non siamo giuristi, ma cittadini. A noi era sembrato ingiusto che, in uno Stato costituzionale in cui dal 1984 era stata riconosciuta non più sussistente la religione cattolica come religione di stato; in uno Stato in cui, come sottolineato dall’art. 4 della sentenza n.203 della Corte Costituzionale, la laicità è stata definita un “principio supremo dello Stato”; in uno Stato in cui era stata emessa la sentenza della Corte di Cassazione numero 439 del 1° marzo 2000, che aveva portato all’assoluzione di Marcello Montagnana dall’accusa di avere rifiutato di insediarsi come scrutatore elettorale a causa della presenza del crocifisso; che in uno Stato che è membro fondatore del Consiglio d’Europa la cui Corte di Strasburgo difende (o meglio, dovrebbe difendere…) la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali; in questo Stato ci era sembrato ingiusto dover subire le condizioni di discriminazione che la presenza del crocifisso nelle aule della scuola dell’obbligo (e non solo) provocava e tuttora provoca.
E ne siamo ancora convinti.
Attualmente poi, dopo la sentenza di Strasburgo, in cui la Corte ha definito il crocifisso come simbolo passivo, la domanda andrebbe più correttamente rivolta non a noi bensì a coloro che pretendono l’esposizione di quel simbolo. Infatti, se il simbolo non fosse passivo la Corte ci avrebbe verosimilmente dato ragione ed avremmo vinto il ricorso. Ma se il simbolo come affermato dalla Corte è passivo ed inutile, qual è il motivo della sua esposizione?
- Due motivazioni per voler crescere i propri figli in Italia e altrettanti due per farlo altrove. Pensate che la chiusura del sistema dinanzi alla vostra iniziativa sia un buon motivo per rimanere e abbattere i pregiudizi nei confronti di chi ha un pensiero diverso dalla maggioranza?
La motivazione per far crescere i propri figli in Italia è soltanto una: perché sono nati qui e non si capisce perché qualcosa o qualcuno dovrebbe “costringerli” a compiere un passo difficile ed impegnativo per andarsene. Lo faranno se e quando vorranno loro ed è possibile che sarà così. Ma la decisione oggi spetta a loro. D’altronde non è detto che sia facile trovare lavoro all’estero, né per i genitori, né per i figli.
Le motivazioni per farli crescere altrove sono più di due. Intanto diciamo che l’Italia non si sta dimostrando uno Stato sovrano in quanto il Vaticano influenza ed ingerisce sulle leggi, sui costumi e sull’attività politica, giudiziaria e culturale di questa nazione, tentando di farne uno stato teocratico così com’era lo Stato pontificio prima del 1870 e come sono le attuali teocrazie islamiche. Inoltre il substrato culturale dell’Italia risente pesantemente di 2000 anni di influenza della Chiesa cattolica e questo influisce non poco sull’atmosfera che circonda la formazione dei giovani: prevalgono la mancanza di spirito critico e la scarsità di pensiero razionale. Inoltre, se i figli non sono battezzati, non frequentano l’ora di religione cattolica a scuola, se non fanno la comunione e la cresima, se non si sposano in Chiesa e così via, tendono a venire ghettizzati, etichettati come “diversi”, sono discriminati e possono soffrire di queste condizioni di disparità. Nei paesi civili al di fuori dell’Italia, anche se di tradizione cattolica, ciò non avviene o perlomeno ha effetti molto più contenuti. Fortunatamente questa situazione sta sempre più cambiando malgrado la disperata resistenza opposta dalle gerarchie ecclesiastiche e dai politici che le ossequiano.
La possibilità che abbiamo avuto di confrontarci con realtà diverse, in particolare con quella dei paesi nordici, ci ha confermato come quello italiano sia un ambiente molto provinciale e chiuso, con debole propensione al confronto e scarsa conoscenza della realtà esistente al di fuori dei confini statali.
Nella nostra famiglia non abbiamo un atteggiamento “missionario” e quindi non è certo per “convertire” qualcuno che siamo rimasti in Italia. L’abbattimento dei pregiudizi della maggioranza non è un nostro compito e non fa parte del nostro modo di affrontare le cose. Anche se ci piace pensare di avere portato un piccolo contributo all’evoluzione di questa società.
Non abbiamo neppure desideri di rivalsa. Sicuramente in noi prevale la delusione del fatto che, dove dovrebbe prevalere lo stato di diritto e dove dovrebbero essere difesi i diritti degli individui, il potere delle lobby ancora oggi mostra la sua prepotenza.
Ma ci sembra giusto ricordare come l’ambiente scolastico ed educativo italiano sia sottoposto a distorsioni inimmaginabili all’estero. Ad esempio nella nostra città che conta circa 20.000 abitanti esistono 6 scuole materne parrocchiali ed 1 solo asilo comunale; e sappiamo di poterci ritenere fortunati visto che non sono poche le realtà in cui neppure esiste l’opzione di una scuola materna pubblica. Si può considerare questo un buon esempio di come lo Stato abbia indebitamente delegato alla religione la crescita culturale dei propri figli. E uno dei tanti buoni motivi per non crescere i figli in Italia.
- Una battuta di risposta alle dichiarazioni del ministro degli Esteri, Franco Frattini in data 22 ottobre 2010: “I cristiani dovranno essere consapevoli […] di ricercare con i musulmani un’intesa su come contrastare quegli aspetti che, al pari dell’estremismo, minacciano la società. Mi riferisco all’ateismo, al materialismo e al relativismo. Cristiani, musulmani ed ebrei possono lavorare per raggiungere questo comune obiettivo”.
L’affermazione, seppure agghiacciante, non è sorprendente.
Da sempre le religioni si sono combattute in maniera sanguinosa e col pretesto della difesa della verità rivelata (ciascuna la propria) hanno in realtà effettuato battaglie per la conquista del potere.
Però, davanti all’inarrestabile progressione della secolarizzazione, in particolare in Europa, è inevitabile che chi ha detenuto per secoli un forte potere su “anime” e corpi cerchi di preservare quantomeno il potere sui corpi, visto che le “anime” stanno sfuggendo. E il nemico da combattere è fondamentalmente uno: la libertà di pensiero.
Questa è da sempre stata la maggiore minaccia per il potere costituito. Ed ora che le religioni vedono sempre più erodere la loro capacità di controllo sugli individui sono obbligate a cercare di prendere il controllo delle istituzioni statali attraverso i loro rappresentanti.
È comunque curiosa questa lotta assidua al relativismo, visto che il contrario del relativismo è l’assolutismo (caratteristico infatti delle religioni monoteiste). È importante rendersi conto quindi che i nostri rappresentanti politici chiedono di combattere la democrazia (che per definizione è una forma di relativismo) e puntano al comune obiettivo, anche se non esplicitato, di un governo dell’assolutismo.
E resta comunque la curiosità di sapere di quale relativismo Frattini stia parlando: la politica svolta da questo governo per imporre ai cittadini l’equivalenza tra peccati e leggi (vedi legge 40, testamento biologico, unioni di fatto, ecc.) come si concilia con il comportamento del capo del governo che fa esattamente il contrario di quanto vorrebbe obbligare a fare ai suoi “sudditi”? Non è forse relativismo anche questo? Non è relativismo la contestualizzazione della bestemmia sostenuta da un alto prelato come il cardinale Fisichella? Che credibilità possono avere le affermazioni di questi esponenti politici e di questo clero?