Xenofobia ai tempi di Rossini – “Otello” a Zurigo
di Martino Pinali
Il Moro di/a Venezia
Il 4 dicembre del 1816, al Teatro del Fondo di Napoli, sala “sostitutiva” del San Carlo, in ricostruzione dopo un incendio, debuttò l‘Otello ossia il Moro di Venezia di Gioachino Rossini, su libretto del marchese Francesco Maria Berio di Salsa. L’opera, nonostante il suo fortunato successo, fu un autentico shock per il pubblico partenopeo: nel Finale Terzo, per la prima volta nel teatro rossiniano, un uomo (per giunta, uno straniero) uccide per gelosia la sua donna, e, pentendosene, si suicida. Per venire incontro alle esigenze di un pubblico più “delicato”, Rossini approntò addirittura un lieto fine, in cui Otello e Desdemona si riconciliano, e il loro matrimonio viene benedetto dal Doge.
Benché il titolo e i personaggi attingano all’omonima tragedia di William Shakespeare, Rossini e il suo librettista non ebbero l’occasione di leggere il corpus autentico del Grande Bardo, se non tramite le riduzioni/rivisitazioni teatrali nate soprattutto in Francia, passaggio obbligato per la circolazione di opere inglesi nell’Europa continentale. Il marchese di Salsa lesse infatti l’Othello di tale Jean-Francois Ducis, autore di traduzioni (o tradimenti?) dei testi più disparati di Shakespeare, ed è da tale adattamento che provengono i caratteri dell’opera rossiniana:
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l’ambientazione totalmente veneziana dell’opera (Shakespeare vi ambienta solo il Primo Atto, il resto dell’opera ha luogo a Cipro);
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una riduzione del numero dei personaggi e un cambiamento “psicologico” di essi (Jago perde l’autonomia che avrà invece nell’Otello di Verdi-Boito, Rodrigo assume più peso e diventa un amante respinto di Desdemona).
Tale adattamento, al pari de I Capuleti e i Montecchi di Bellini-Romani, fu ampiamente criticato oltralpe, specialmente da Stendhal (biografo appassionato di Rossini, ma ferocemente critico verso quest’opera) e da lord Byron (il quale, assistendo a una rappresentazione veneziana nel 1818, affermò “Hanno messo in croce Othello”), e, col debutto dell’opera di Verdi, fu definitivamente soppiantato. Fu a partire dagli anni ’50 del secolo scorso che Otello venne timidamente rappresentato qua e là, in piena Rossini Renaissance: oltre a Pesaro, Napoli, Venezia anche a Londra, Parigi, Zurigo.
L’allestimento
Lo spettacolo di Moshe Leiser e Patrice Caurier, visto per la prima volta a Zurigo nella primavera 2012 (e riversato in DVD dalla Decca), sposta le vicende dell’opera rossiniana da Venezia ad una non meglio specificata città presumibilmente italiana dei giorni nostri.
L’impianto scenico è quindi attuale, ma la società che lo governa è “all’antica”: un’élite patristica domina i destini dei personaggi, i cui ideali politici sembrano riflettere quelli di un partito politico di vecchio stampo, xenofobo e maschilista. Unica voce che si oppone, non è tanto quella di Otello, che arriva ad uccidere la donna che crede infedele, ma quella di Desdemona, apertamente ribelle persino ai dettami del padre.
Le scene mostrano molti ambienti interni, claustrofobici: l’elegante sala da ricevimento del Primo Atto lascia spazio allo squallore della camera di Desdemona, con la carta da parati a brandelli, e lo scantinato di un improbabile coffee-shop, dove, mentre Otello annega nell’alcool le delusioni amorose, alcuni loschi individui trafficano sostanze stupefacenti. L’allestimento, in sostanza, è della lunga e proficua “famiglia” delle ambientazioni moderne per le opere liriche, forse per renderle più attuali e più comprensibili, ma stravolgendo (e, talvolta, rendendo ridicolo) il melodramma stesso. Basti pensare a Desdemona che, durante l’ennesima sfida al padre, sul finire dell’aria si rovescia una bottiglia di birra addosso; oppure Rodrigo e Otello che si picchiano a suon di stecche da biliardo; o, ancora, al pestaggio del cadavere di Otello da parte di Rodrigo e del padre di Desdemona. Un allestimento probabilmente improponibile ad un pubblico italiano.
Il cast
Il punto di forza della produzione veniva senz’altro dal cast, che schierava, nei ruoli protagonisti, due fuoriclasse del repertorio rossiniano.
Nel ruolo eponimo, John Osborn, apprezzato interprete di opere del bel canto. Esordisce molto bene con la sua Sortita “Ah sì, per voi già sento”, e per tutta l’opera si conferma su uno stile esecutivo molto buono: la gelosia, il furore, il disagio del Moro di Venezia sono tutti resi efficacemente dal tenore, salutato, giustamente, da un generoso abbraccio di pubblico.
Ma la vera star dello spettacolo è la primadonna, Cecilia Bartoli nei panni di Desdemona. La cantante approda per la prima volta al Rossini serio, in un ruolo vagheggiato da anni, di cui aveva eseguito solo, in concerti e recital, la celebre Canzone del Salice “Assisa a pie’ d’un salice”. La sua Desdemona è una donna passionale, ribelle, ma al tempo stesso fragile e instabile emotivamente (durante l’assolo del Gondoliere fuoriscena, che declama il Canto V dell’Inferno dantesco, “Nessun maggior dolore”, scrive con un pennarello rosso la frase di Dante a caratteri cubitali sulla parete della camera). La vocalità “ibrida” della Bartoli si adatta in ogni momenti al dolore di Desdemona, e lo fa suo, e il successo per la cantante è assicurato.
Di buon livello il timido e impacciato Rodrigo di Javier Camarena, molto spigliato soprattutto nei pezzi d’insieme. Del pari adeguato lo Jago di Edgardo Rocha, che riacquista più spessore, nell’allestimento di Leiser-Caurier, rimanendo sempre nell’ombra a macchinare la rovina finale dei protagonisti.
Buona l’amorosa Emilia di Liliana Nikiteanu, che sembra tradire qualche attrazione erotica verso la sua protetta; autoritario e minaccioso l’Elmiro di Peter Kalman, padre di Desdemona. Stentoreo il Doge di Nicola Pamio, quasi il diretto ascendente dell’Imperatore Altoum della Turandot pucciniana, e buono l’intervento del Gondoliere di Ilker Arcayürek.
Roboante e scattante la prova dell’Orchestra La Scintilla, guidata dal direttore Muhai Tang, che opta per una lettura filologica della partitura (eccezion fatta per il taglio del Coro “Santo Imen” che apre il Finale Primo, e l’eliminazione del minuscolo personaggio di Lucio, amico di Otello che gli reca la notizia della morte di Jago: nella produzione, il ruolo viene ricoperto da Rodrigo); positiva la prova offerta dalle voci supplementarie del Coro dell’Opera di Zurigo.
Un caldo successo ha salutato la produzione, apprezzata e vista, fino ad oggi, a Parigi, Gent e Salisburgo.