Pubblicato il: Gio, Gen 30th, 2014

Biotestamento, in Parlamento è ancora attesa sul fine vita

di Adalgisa Marrocco

Dietro le quinte del palcoscenico parlamentare, le questioni bioetiche e i diritti civili vivono perennemente la dimensione dell’attesa. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole delle DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento). L’ultima iniziativa concreta rimane il Testamento Biologico on-line, proposto un anno e mezzo fa dall’Associazione Luca Coscioni. Sul sito dell’associazione è tutt’ora possibile compilare un formulario (ratificabile presso un notaio) in cui indicare quali cure si intendono ricevere e quali rifiutare, nel caso si perda la facoltà di decisione autonoma.

Più recentemente, a riproporre la questione ci aveva provato il Partito Radicale. Nell’estate 2013, i radicali avevano inserito l’eutanasia legale nella raccolta firme plurireferendaria che aveva suscitato tanto clamore per l’adesione di Silvio Berlusconi, prevedibilmente interessato a sostenere in maniera propagandistica i punti giustizia.

Passato il fragore mediatico, a settembre il Partito Radicale aveva depositato alla Camera circa 70mila firme per una legge di iniziativa popolare, andando ad ingrossare le pile di proposte che finiscono per non venire calendarizzate. Quella del biotestamento è una storia dal lieto fine inesistente, in cui ogni tentativo di far valere il diritto a disporre del proprio corpo si trasforma in un flashback del precedente fallimento. Già nel 2009, l’Associazione Luca Coscioni aveva recapitato a Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, una raccolta di 2316 testamenti biologici senza ottenere riscontro.

Era poi stata la volta del restrittivo disegno di legge Calabrò sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, vagliato nel luglio 2011 dal Senato. Si trattava di un ddl voluto dal centrodestra per fermare il decorso che avrebbe portato alla sospensione delle terapie per Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente da molti anni. La sospensione era stata sancita dopo una lunghissima battaglia legale portata avanti dal padre della donna, sulla base delle volontà espresse dalla figlia quando era ancora nel pieno delle forze.

Tra i punti del ddl più contestati, c’era l’opportunità di siglare solo dichiarazioni non vincolanti e non specifiche, genericamente contrarie all’accanimento terapeutico (emendamento voluto dall’allora PD Binetti), e che avrebbero lasciato al medico la possibilità di contravvenire alle volontà del paziente. Inoltre, il ddl prevedeva l’impossibilità di rigettare l’idratazione e l’alimentazione artificiali, proprio quelle terapie che tenevano “in vita” Eluana.

«Si tratta di una proposta che va contro la libertà dei cittadini e, di conseguenza, contro la libertà degli stessi parlamentari. Quindi, chiederei ai membri del Parlamento di pensare in coscienza al fatto che gli italiani hanno bisogno di una buona normativa, distante dalle mille contraddizioni della proposta del senatore Calabrò», aveva dichiarato Mina Welby, moglie di Piergiorgio ed esponente attiva dell’Associazione Coscioni. Il ddl Calabrò morì insieme a Eluana: con la morte della ragazza, l’iter parlamentare rallentò e infine si arenò.

Gli unici sviluppi intercorsi da allora sono da intendersi in senso negativo. Il proibizionismo italiano in tema di “morte dolce” rischia di avere come ripercussioni l’eutanasia clandestina ed il turismo eutanasico (soprattutto verso la Svizzera), fenomeni riguardo cui è stato chiesto a più riprese al Parlamento di istituire un’inchiesta, senza ottenere risposte affermative.