Pubblicato il: Gio, Dic 11th, 2014

Maternità surrogata, un tabù tra aperture comunitarie e veti nazionali

di Adalgisa Marrocco

Tre anni fa, una coppia della provincia di Cremona era volata a Kiev (Ucraina) per avere un bambino, rivolgendosi ad una clinica col fine di avere accesso alla pratica dell’utero in affitto. Passati nove mesi, il bambino nato in territorio ucraino era pronto per essere portato in Italia dai novelli genitori. Il test del DNA, effettuato dopo il ritorno in patria, aveva rivelato che il novello padre non era genitore naturale.

Così, circa un anno e mezzo fa il bimbo era stato dichiarato possedere madre certa, seppur surrogata, e padre ignoto: da qui la decisione di togliere il piccolo alla coppia per darlo in affido. Qualche settimana fa, la Cassazione aveva decretato il bambino adottabile. Da qualche ora, invece, è giunta la sentenza nel processo penale: marito e moglie sono stati condannati dal Tribunale di Cremona a tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno (pena sospesa) per alterazione di stato ai sensi dell’art. 567 del codice penale. Infatti, per i giudici la coppia era cosciente del fatto che l’uomo non fosse il padre naturale, eppure non aveva esitato a dichiarare il falso.

Una sentenza che sembra in netta contraddizione con quella che poche settimane fa aveva assolto una coppia di Varese, accusata del medesimo reato. Come gli aspiranti genitori cremonesi, i due coniugi varesini si erano recati in Ucraina nel settembre 2011, accordandosi con una donna che aveva concepito due gemelli (figli biologici del marito). Una volta venuti alla luce i bambini, la coppia aveva dichiarato all’Ambasciata Italiana a Kiev che essi erano nati all’interno della coppia, commettendo anche in quel caso reato di alterazione di stato. Eppure, un paio di settimane fa, il GUP incaricato ha optato per l’assoluzione dei coniugi dato che «il fatto non costituisce reato a seguito delle sentenze pronunciate dalla Corte Europea dei diritti umani». Verdetti comunitari mirati a stabilire che, anche nel caso la legge del Paese di provenienza dei genitori consideri reato la maternità surrogata, al veto nazionale bisogna privilegiare «la necessità di salvaguardare il primario interesse del minore a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio o di figlia di una coppia di genitori».

L’ultima sentenza pronunciata è lontana dalle aspettative degli aspiranti genitori italiani che, causa infertilità o malattie ostacolanti il concepimento, decidono di tentare strade alternative. Se la caduta dei principali veti imposti dalla Legge 40, dichiarata incostituzionale da mesi, non sono bastati a rendere completamente accessibile la fecondazione assistita, la maternità surrogata è ancora un tabù assoluto.

La cosiddetta pratica dell’ “utero in affitto”, infatti, è permessa solo nei Paesi che ammettono la genitorialità di chi trasmette i geni, pur non avendo partorito il bambino. Stati Uniti e Canada sono stati tra i primi ad avallare il trattamento, mentre più di recente si sono aggiunte Russia, Ucraina e India. In queste nazioni sono presenti agenzie e cliniche, ma il loro sistema giuridico pone qualche impedimento in più rispetto a quello del Nord America. I costi per avere accesso alla pratica variano: le cifre sono in linea di massima più alte negli USA e in Canada e più contenute, ad esempio, in India. Le oscillazioni sono dovute alle differenze di oneri d’agenzia, sanitari e assicurativi, ma anche al rimborso/compenso per la madre surrogata.