Pubblicato il: Dom, Giu 2nd, 2013

Rileggendo Citati: Zelda Sayre e Francis Scott Fitzgerald

di Alessandro Pagano Dritto

Pietro Citati (Firenze, 1930) Ex firma del Corriere della Sera e del Giorno, ad oggi scrive per Repubblica. Oltre Fitzgerald, ha scritto libri su Katherine Mansfield, Marcel Proust, Franz Kafka, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni ed altri. 

Un padre e una figlia si mettono ai margini di una pista da ballo. Scambiano due parole, poi iniziano a muoversi al ritmo di un fox-trot lento.

Sono i primi anni ’30 e il padre ha scritto alcune delle più belle pagine della letteratura di quegli anni. In periodi poco felici della sua vita si è dato anche al cinema, ma delle sue sceneggiature a Hollywood non rimane granché, perché o sono passate inosservate e calpestate dal giudizio dei critici o sono state cambiate prima che gli attori le pronunciassero.

Francis Scott Fitzgerald è tornato oggi di moda perché da uno dei suoi libri più famosi, Il grande Gatsby (1925), è stato tratto un film, nelle sale cinematografiche italiane nella seconda metà di maggio. Varrà allora la pena riprendere dalla libreria di casa un libro scritto qualche anno fa da Pietro Citati, La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald (Mondadori, Milano, 20061, 9.50 euro), che può aiutare il lettore o lo spettatore curioso a capire meglio il mondo reale intimo da cui lo scrittore ha tratto la storia e i personaggi del suo terzo romanzo.

Francis Scott Fitzgerald (24.09.1896 – 21.12.1940) all’età di quindici anni, 1911. 

Francis Scott Fitzgerald nasce a Saint Paul, Minnesota, il 24 settembre 1896. La prima delle fotografie riprodotte da Citati nel suo libro ce lo mostra all’età di quindici anni. È una fotografia di posa, come si usavano all’epoca, un bambino biondo con gli occhi tagliati e lo sguardo intelligente, forse appena velato di malinconia, le labbra sottili e la pelle che sembra incredibilmente liscia. Giacca, cravatta, buona famiglia elegante.

Il giovane Francis Scott Fitzgerald è in realtà più inquieto di quanto la fotografia possa far sembrare. Dentro di lui si combattono il desiderio di ottenere grandi risultati e la sensazione, quasi la sicurezza, di essere votato al fallimento non appena cerchi seriamente di ottenerli. Sogna di essere un grande nome della letteratura quando ancora nulla prova che lo diventerà, sogna di partire per la guerra e morire al fronte come si dice facciano gli eroi, sogna anche solo di essere il più ammirato all’epoca della scuola. Tiene addirittura un diario in cui annota quanto può servire a rendere l’idea di questa sua notorietà, ci sia o non ci sia. Alla fine della vita, ormai scrittore dal successo che fu, invidierà l’amico Ernest Hemingway, più in salute di lui, che era andato fino in Spagna per seguire e scrivere la guerra civile.

Zelda Sayre e Francis Scott Fitzgerald si conoscono al Country Club di Montgomery, Alabama, città natale della ragazza, nel luglio del 1918. Lei ha appena compiuto 18 anni – è nata il 24 luglio 1900 – lui ne ha 22 ed è militare di stanza lì vicino, a Camp Sheridan. È un luogotenente di fanteria senza particolare talento, agli ordini di Dwight Eisenhower, il futuro presidente degli Stati Uniti.

Zelda Sayre (24.07.1900 – 10.03.1948). Tre le grandi passioni della sua vita: il ballo, la pittura e i fiori. Scrisse un libro autobiografico, Save Me the Waltz (1932), ma il marito fu sempre geloso della sua scrittura. 

Zelda è una ragazza cui piace assaporare il lato leggero della vita. La scuola la annoia, le piace correre, arrampicarsi sugli alberi e poi saltare giù da loro o da un trampolino di una piscina, ballare. Dice di aver baciato mille ragazzi e che ne bacerà altri mille. Tutti riconoscono che ha un fascino quasi inspiegabile, magnetico, oppure c’è chi proprio non la può sopportare, ma a nessuno riesce indifferente. Tra gli ultimi, lo scrittore e giornalista John Dos Passos, che dopo averla conosciuta nel settembre del 1922, parlò di «qualcosa che mi spaventava e ripugnava, perfino fisicamente… L’abisso che si aprì tra Zelda e me era qualcosa che non si poteva spiegare» (cit., p.15).

Scrive Citati: «Il mondo era un’immagine della sua bellezza, e lei possedeva il mondo, grazie alla sua bellezza. Pensava che il compito delle donne non fosse di assicurare la quiete, come le avevano insegnato in famiglia, ma quello di offendere, disturbare, provocare disastri. Così Zelda suscitava sorpresa, ammirazione e terrore tra i suoi corteggiatori: in primo luogo in Fitzgerald, per il quale rappresentò sempre il più divertente e tremendo tra gli spettacoli. Era la regina delle farfalle. Sembrava conoscere soltanto le superfici della vita bevendo gioiosamente «la spuma in cima alla bottiglia». Abitava nell’immaginazione, recitava la propria parte come l’attrice più consumata: e poi, all’improvviso, stava di là, cogliendo le sensazioni imponderabili, tra il cielo e la terra» (pp. 12-13).

Francis, Frances e Zelda. Francis e Zelda si sposarono nel 1920, poco dopo nacque la loro unica figlia Frances, chiamata «Scottie» (26.10.1921-18.06.1986). A quel tempo Fitzgerald aveva all’attivo il suo primo, fortunatissimo, romanzo, Di qua dal paradiso. 

Quando Zelda e Francis si sposano, il 3 aprile 1920, il primo romanzo di Fitzgerald, Di qua dal paradiso, è uscito da pochi giorni. Il giudizio che oggi ne dà Citati – «un libro rozzo, che rivela una cultura da principiante» (p. 43) – non coincide con quello dei lettori dell’epoca: il successo per Francis arriva subito, 49.000 lettori in un anno, davvero molto per i tempi, lo consacrano. E con il successo arrivano i soldi, il lusso, le feste, gli sprechi, l’esclusività: per lui, per la moglie, per la figlioletta Scottie. Non arriva la felicità. Nel 1924, quando giorno per giorno prendono forma le pagine del Grande Gatsby, Zelda conosce Edouard Jozan, giovane ufficiale della marina francese; si trovano infatti nella Costa Azzurra, dove hanno deciso di passare le vacanze estive. Non è chiaro fino a che punto si siano spinti i due: a sentire le versioni, Zelda dice troppo, l’ufficiale troppo poco. In ogni caso Fitgerald è furioso, litigano, minacce di divorzio. Poi, da un giorno all’altro, è di nuovo come nulla fosse: Zelda scende in spiaggia per il bagno, nuota, ma i taccuini del marito adombrano qualcosa di spiacevole: «qualcosa che non si sarebbe mai potuto riparare» (cit., p. 37). Secondo Citati, Zelda avrebbe tentato il suicidio.

Ancora Francis e Zelda. Pare che quando Francis aveva difficoltà a procedere nella stesura del suo terzo romanzo, Il Grande Gatsby (1925), Zelda ne disegnasse per lui i personaggi, così da stimolarne la fantasia. 

La situazione è ormai sempre più fragile, Francis per un periodo pare frequentare un po’ troppo un’attrice di Hollywood, Lois Moran, 17 anni; per reazione Zelda brucia in una vasca d’albergo tutti i vestiti che aveva personalmente disegnato. Perché a Zelda piaceva anche disegnare: quando il marito non sapeva più che fare di Gatsby, Daisy e gli altri personaggi del suo libro, Zelda glieli disegnava perché lui potesse tornare a vederli.

Nel 1927 Zelda mostra i primi segni della precoce malattia che non la abbandonerà mai più: la schizofrenia. Il primo di questi segni è una passione che ormai è diventata smodata per il ballo. Zelda balla sempre, ogni giorno, tutti i giorni, non fa che esercitarsi e ballare, ballare, ballare, fermandosi solo per bere. Vuole diventare una stella della danza, nutre una passione e una devozione tale per la sua maestra, Egorova Lubov, che lei stessa si chiede se per caso abbia delle tendenze omosessuali. La pensa sempre, la copre di regali, le fa visita ogni volta che può. Tempo dopo, quando Zelda sarà già sotto osservazione in clinica, la sua maestra le spedirà una lettera incaricandosi di dirle che ormai, a quasi trent’anni, può dimenticare i suoi sogni di gloria: sarà al massimo una brava ballerina amatoriale. Ancora però Zelda, nel 1927, questo non lo sa, non lo pensa neppure, e dorme con gli alluci legati alle sbarre del letto per tenerli sempre in posizione da ballo, tutta la notte.

Pietro Citati, La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald (Mondadori, Milano, pp. 115, 9.50 euro). Il titolo è una citazione.

Cominciano gli anni delle cliniche, prima in Svizzera, poi in Francia, poi in America a Baltimora. Ha alti e bassi, ma non si riprenderà mai del tutto. Un giorno prende il volante della macchina e tenta di scaraventare sé e il marito in un burrone: dirà che era stata l’automobile a ordinarglielo.

Mentre tutto questo accade, Fitzgerald scrive alcune delle sue prove migliori. Al Grande Gatsby segue Tenera è la notte, il romanzo che Citati considera il suo capolavoro, ma soprattutto alcuni tra i migliori dei suoi racconti: La madre di uno scrittore, Un caso di alcolismo, La lunga via d’uscita, Finanziando Finnegan, Il decennio perduto, sono per il critico «tra i più belli del secolo scorso» (p. 105).

Fitzgerald beve, prende ad amare Zelda tanto quanto la odia, a respingerla tanto quanto la vuole con sé, lei ormai chiusa sempre di più in una clinica e lui a casa a scrivere alla figlia Scottie che studia in lontani istituti prestigiosi. «Tutto quello che abbiamo fatto è mio – le dice rinfacciando le sue prove da scrittrice – […] sono io il romanziere professionista e sono io che ti maneggio. Tutto questo materiale è mio, niente di questo materiale è tuo» (cit., p. 75).

Alla fine della vita lo scrittore sta di fatto con un’altra donna, la giornalista Lily Sheil, cui detta anche una lettera per Zelda. Poi un giorno pranza, legge il giornale, parla della guerra in Spagna e di Hemingway che la segue da inviato, annota qualcosa sulla squadra di Princeton, si alza e cade riverso sul pavimento, morto.

Del loro primo ballo, al Country Club di Montgomery nel 1918, Zelda aveva scritto: «Stare vicino a lui, con il viso nello spazio tra il suo orecchio e il rigido colletto dell’uniforme, era come essere iniziati alle riserve sotterranee di un negozio di tessuti pregiati che trasudano la delicatezza del percalle e dei lini e dei lussi avvolti in sacchi» (cit, p. 18).