Turchia e Unione Europea: «Sì al dialogo, ma non subito», Bruxelles rimanda ad ottobre
di Valeria Vellucci
Dopo una pausa di tre anni, giugno 2010, sarebbero dovuti riprendere oggi i negoziati tra Unione Europea e Turchia. Bruxelles annuncia, però, che le trattative non riprenderanno prima del prossimo ottobre. La decisione è stata resa nota ieri dal Commissario all’Allargamento Štefan Füle.
«Non siamo rimasti indifferenti dinanzi alla reazione provocata dalle manifestazioni pacifiche in Turchia» ed ancora: «Credo, tuttavia, che il processo di adesione rimanga lo strumento più efficace per influenzare il programma di riforme». È con queste parole che si è espresso Eamon Gilmore, ministro irlandese degli Affari Esteri e del Commercio.
L’esito proviene dalla consultazione dei 27 stati membri e dai rispettivi ministri degli esteri, i quali hanno optato, seppur non siano mancate alcune divergenze, per una temporanea sospensione dei colloqui. Il supporto maggiore alla decisione finale sembrerebbe essere giunto da Germania, Austria e Olanda.
La repressione attuata nei confronti dei manifestanti, il pugno di ferro della polizia turca e le quattro vittime di questo intenso mese di scontri, hanno molto influito sul già indeciso atteggiamento dell’UE circa il futuro di Ankara. Già qualche settimana fa, il Parlamento Europeo ammonì duramente la Turchia attraverso una risoluzione che si poneva di elencare tutte le violazioni dei diritti umani, e non solo, in atto. Condanne, quindi, espresse in merito alla violenza utilizzata nei confronti dei manifestanti ma anche verso quei tentativi, da parte di alcuni mass media, di mettere a tacere gli eventi.
Entrare a far parte dell’Unione Europea prevede il possedimento di una serie di immancabili requisiti: rispettare i principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, lo Stato di diritto e i cosiddetti ″criteri di Copenaghen″. Il tutto è stato abbondantemente violato dal governo Erdoğan.
In risposta, dalla Turchia, il leader dell’Akp ci tiene a rendere noto che l’Unione Europea rimane un obiettivo primario e che anche quest’ultima si è resa conto dell’importanza di Ankara. Commenti a caldo arrivano anche dal Ministro degli Esteri, Ahmet Davutoğlu, il quale sostiene la positività della scelta di non chiudere definitivamente il capitolo Unione Europea.
La Turchia rimarrà quindi in una condizione di ′sorvegliato speciale′ fino al mese di ottobre, scadenza entro la quale dovrà essere presentato un nuovo rapporto in merito alla situazione. Il Ministro degli Esteri austriaco, Michael Spindelegger, ha definito il lasso di tempo che verrà come un periodo di prova per verificare il modo di gestire i diritti civili, il diritto di manifestare e il diritto alla libertà di parola: «Non possiamo avere due pesi e due misure. Abbiamo in Europa una comunità di valori che prevede il rispetto dei diritti».
Nel frattempo, gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da ulteriori scontri: migliaia di persone sono scese in piazza per contestare la decisione del tribunale di rilasciare il poliziotto che il 1 giugno scorso ha ucciso, ad Ankara, il giovane manifestante Ethem Sarısülük. Gli scontri maggiori si sono avuti proprio nella capitale, dove numerosi cortei sono stati organizzati in direzione di piazza Kizilay, luogo in cui Ethem è stato colpito a morte con un proiettile alla testa.