Vince Syriza: il vento greco scuote l’Europa
di Riccardo Venturi
Syriza, un partito di sinistra fortemente critico nei confronti delle politiche di austerità europee, ha vinto le elezioni in Grecia; uno scenario impensabile fino a pochi anni fa, è diventato il riflesso di un risultato quasi annunciato alla vigilia. L’ascesa di Tsipras, il suo leader quarantenne, ingegnere civile, ha così assestato il primo scossone serio all’ortodossia istituzionale degli altri governi europei “moderati”.
Il successo è stato netto, Syriza è infatti il primo partito del paese con il 36,3% dei voti. Tuttavia, il distacco di otto punti dal partito del premier uscente Samaras, Nea Dimokratia, non si è tramutato nella maggioranza assoluta in Parlamento: sono 149 i seggi conquistati, due in meno della soglia necessaria per evitare una difficile convivenza programmatica. Il sistema elettorale greco, nonostante il cospicuo premio di maggioranza ottenuto, costringerà Tsipras a governare con un partito di destra anti-austerità, ANEL (Greci indipendenti), mentre il centro-sinistra rappresentato da “To Potami” potrebbe garantire un appoggio esterno. Le difficoltà iniziano dunque fin dal giorno successivo alla grande festa della piazza dell’università di Atene e si palesano già nel contrasto ideologico che caratterizzerà l’esecutivo.
Ma cos’è Syriza? La “Coalizione della Sinistra Radicale” nasce nel 2004 come piattaforma politica che unisce diversi movimenti della sinistra greca. Per anni porta avanti battaglie incentrate su temi legati al lavoro, allo stato sociale, ai diritti e ai beni comuni. Nonostante il forte accento anti-liberista ed anti-capitalista, Syriza rimane un movimento “europeista”, come certificato dal suo comitato centrale nel 2012, anno in cui abbandona il frazionamento e si trasforma in un partito. Non ci sono dunque dubbi sulla volontà teorica di permanenza nell’UE e nell’eurozona, ma il primo punto del programma elettorale prevede l’immediato stop alle misure di austerità e la rinegoziazione del debito pubblico.
È stata proprio l’apparentemente infinita crisi che ha attanagliato la Grecia negli ultimi anni ad aver favorito la crescita verticale di Syriza. La diffusa percezione dell’arrendevolezza totale dei partiti tradizionali alle imposizioni finanziarie della Troika, ha generato l’idea di una Grecia “tradita” dai responsabili dell’attuale situazione. La paura di un salto nel vuoto è gradualmente venuta meno sulla base della convinzione di non avere più nulla da perdere: i greci hanno deciso di “punire” chi li ha esclusi dal processo decisionale interno e chi (da fuori), anche nelle semplici dichiarazioni pubbliche, li ha relegati all’ultimo ganglio del continente. A prescindere dalla discussione sulla ripartizione di responsabilità, in pochi anni il sistema bipartitico ellenico è imploso; l’unica forza politica che ha “tenuto” è il centro-destra di Nea Dimokratia, ancora adesso secondo partito con il 28% delle preferenze. Il PASOK (il Movimento Socialista Panellenico, altro gigante storico), al contrario, ha risentito fortemente degli anni del governo Papandreou ed è crollato ai minimi storici. Il vuoto a sinistra è stato “occupato” proprio da Syriza, un partito che letteralmente si auto-definisce radicale, ma che non ha come obiettivo quello di far crollare l’impalcatura europea, come spesso è stato suggerito dalla narrativa mediatica o da quelle che Tsipras definisce “cassandre”.
Il vertiginoso aumento di consensi anche in quei settori della società tradizionalmente lontani da posizioni definibili “di sinistra”, è comprensibile solo alla luce di alcune battaglie trasversali e percepite come “giuste” che Syriza ha avuto l’abilità di far proprie e vincere, come quella contro la chiusura della rete televisiva pubblica (ERT), che prevedeva il licenziamento di migliaia di dipendenti. In generale, l’efficace campagna elettorale di Tsipras ha trasformato delicate questioni concernenti vasti strati impoveriti della popolazione in vere e proprie emergenze sociali e in lotta contro la violazione di diritti fondamentali. Una retorica che, almeno allo stato attuale, in altri paesi europei impaurirebbe o difficilmente potrebbe far breccia, in Grecia ha rappresentato l’appiglio per uscire dall’abisso dell’austerità.
Ovviamente, non mancano voci critiche. Syriza viene considerato da molti un partito estremista che persegue con irresponsabilità un’utopia politica superata, anche a costo di portare il paese al fallimento. L’ex premier Samaras ammette la sconfitta e si augura di sbagliare, ma si sente in dovere di “avvisare” il popolo greco dei possibili rischi di una scelta da lui considerata frutto della rabbia cavalcata da facile populismo. Lo scetticismo esterno ed interno di chi ha finora dettato le condizioni alla Grecia, fa il paio con il paradosso di un’opposizione parlamentare che considera Syriza in linea con le posizioni “borghesi” dei partiti tradizionali: il KKE (Partito Comunista di Grecia) ha infatti ottenuto il 5% e ben quindici seggi. “Cavallo di Troia” anti-europeo per chi detiene posizioni più vicine a quelle ufficiali delle istituzioni europee e dei governi “rigoristi”, foglia di fico per i più oltranzisti della sinistra, Tsipras non avrà vita facile sia a Bruxelles che ad Atene.
Ma, per il neo-premier, il mandato consegnatogli dal suo popolo è chiaro, come già rimarcato nel comizio di ieri sera: «la Grecia oggi ha fatto la storia. Lascia dietro di sé l’austerità, anni di oppressione, va avanti con la speranza verso un’Europa che sta cambiando. Il popolo greco ha messo la troika nel passato. […] La nostra lotta è quella di ogni popolo che combatte l’austerità». Nel discorso è fondamentale il passaggio che sottolinea la mancanza di vincitori e vinti; cercando di uscire dal cleavage ideologico, Tsipras dimostra di perseguire una politica realista, pragmatica, senza però abbandonare i suoi propositi. Come già sottolineato in precedenza, adesso inizia il difficile: l’accordo con ANEL e la probabile rigidità esterna (rimarcata dalle numerose dichiarazioni ufficiali di queste ore), potrebbe mettere in discussione tutto. Il giovane premier greco dovrà fare i conti con condizioni materiali che non sempre gli permetteranno di mantenere le aspettative, mentre la retorica utilizzata finora all’opposizione potrebbe trasformarsi in un “effetto boomerang”.
Sarebbe comunque un errore non considerare il nuovo governo guidato da Syriza alla stregua di tutti gli altri esecutivi europei, specie in questo preciso momento storico. È ormai chiaro che il contesto politico e sociale continentale è in costante evoluzione. Un’indiretta conferma arriva dalle ultime misure intraprese dalla BCE, volte a favorire il rilancio dell’economia europea. Il trionfo elettorale di Syriza avviene in un momento di svolta, in una fase in cui il tabù anti-inflazionista tanto caro alla Germania viene messo in discussione anche ai vertici dell’UE.
A prescindere dalle opinioni personali, e aspettando il tempo necessario per poter esprimere giudizi sull’operato di un governo a cui sono state affidate inedite responsabilità politiche, è doveroso prendere atto dell’importanza simbolica delle elezioni greche. Infatti, il voto di Atene è traducibile in un messaggio che un popolo europeo ha voluto lanciare in seguito a questi ultimi anni di crisi e di errori, un “grido” che ha grandi implicazioni anche sul piano internazionale. La crisi di un modello percepito come estraneo al tessuto sociale, più attento al (giusto) rispetto dei parametri macroeconomici che a una dimensione di sviluppo e benessere “reale”, è evidenziato dalla crescita di forze politiche di destra identitaria in molti paesi (fra cui Italia, Francia, Regno Unito, Germania): la retorica anti-austerità diventa così anti-europeista (come nel caso del Front National o della Lega Nord), ridiscutendo perfino la chiusura delle frontiere e agitando lo spettro della fine del sogno comunitario d’integrazione. Svuotare del suo importantissimo significato intrinseco la vittoria di Syriza potrebbe comportare un grave errore strategico, specie se quest’opera di “demolizione” aprioristica avvenisse per mano del campo “istituzionale/ufficiale” europeo. Intanto, i neo-fascisti di Alba Dorata aspettano e hanno già dichiarato che, quando Syriza fallirà, sarà il loro turno; previsione non necessariamente corretta, ma che comunque può assumere i contorni della plausibilità: quanto basta per intraprendere una difficile, ma obbligatoria, cooperazione intra-comunitaria con il nuovo governo greco, tanto più che l’ipotesi “Grexit” non conviene a nessuna delle parti in gioco. Al momento, le richieste di Bruxelles e Berlino sembrano inconciliabili con ciò che vuole Atene, ma i punti di incontro sono già in fase avanzata di discussione.
Il voto greco, quindi, trascende la sua dimensione nazionale e ha un’eco europea che rende Syriza più forte, anche in una situazione in cui il suo margine politico di manovra è limitato da complessi fattori internazionali e da necessità di compromesso governative. Il dato che emerge è quello di un popolo che ha gradualmente colto il messaggio di una forza politica che propone un’altra idea di Europa, non la fine dell’UE. Se la modalità con cui i greci hanno scelto di girare pagina è sbagliata o se Syriza è una forza politica inadeguata a concretizzare queste difficili aspettative, probabilmente è troppo presto per saperlo. Ma Atene è stata ancora una volta il centro d’Europa. Un’Europa che chiede diritti e solidarietà, rifiutando imposizioni economiche con gravose conseguenze sociali, non può più essere ignorata perché, se si pretende di continuare insieme, non si può decidere unilateralmente. I rischi di una separazione, invece, sono già stati conosciuti e sperimentati in passato. Con l’illusione che la Grecia rappresenti l’input di un cambiamento positivo, oggi sui social si rilancia il nuovo slogan di Syriza: “la speranza ha vinto”. E l’Europa, prima ancora di tutto il resto, è fondamentalmente questo.