RD Congo, dopo undici giorni il Movimento 23 Marzo (M23) lascia Goma
di Alessandro Pagano Dritto

1. Un camion carico di ribelli del gruppo M23 si allontana da Goma. Sabato 1 dicembre 2012. Le forze stimate del gruppo sono circa 1.500. I ribelli hanno tenuto la città dal 20 novembre al 1 dicembre 2012. (AP Photo/Jerome Delay).
Il primo dicembre 2012 pare essersi completato il ritiro dei ribelli del gruppo M23 da Goma, che lasciano la città dopo averla conquistata in una calma quasi perfetta il 20 novembre e averla tenuta per undici giorni.
Goma è una grande città nell’est della Repubblica Democratica del Congo, Africa centrale. Conta all’incirca un milione di abitanti.
L’est del Congo è una zona dal sottosuolo ricchissimo di minerali, ed è in questo senso una delle più ricche al mondo. Proprio questa ricchezza ne ha fatto un obbiettivo appetibile non solo per la nuova rampante economia cinese e prima ancora per quella dei paesi europei all’epoca del colonialismo, ma anche, oggi, per il piccolo e montuoso Ruanda. È vicinissimo, dalla città lo si raggiunge procedendo giusto qualche chilometro in direzione est.
Nel 2008, quando il gruppo M23 ancora non esisteva, altri ribelli erano arrivati alle porte della città, ma alla fine non ci erano entrati. Anche in questo sta la novità della conquista odierna.
Riassumere la storia della Repubblica Democratica del Congo e del suo vicino Ruanda e capire perché l’est del Paese è ad oggi un coacervo di gruppi armati dalle sigle e dagli intenti più vari, non è cosa facile. Bastino allora qui alcuni dati essenziali.
Nel 1994 il Ruanda è dilaniato da un genocidio, quello perpetrato da elementi dell’etnia Tutsi ai danni di elementi dell’etnia Hutu, che allora deteneva il potere. La rivoluzione produce, oltre ai morti, un flusso migratorio di Tutsi che si rifugiano oltre confine. Alcuni di loro negli anni successivi imbracceranno le armi sperando un giorno di liberare il proprio Paese dal governo di Paul Kagame.

2. Sultani Makenga, leader riconosciuto del gruppo M23. Nega ogni complicità con il Ruanda e col ruandese Bosco Ntaganda, con cui pure ha aderito ai patti del 23 marzo 2009, così come i crimini di cui lui e altri nel movimento sono accusati. (Phil Moore/AFP)
Nel 2003 si conclude la Seconda guerra del Congo, o Guerra mondiale africana. Per cinque anni si erano contrapposti da una parte Congo, Zimbabwe e Namibia, dall’altra Ruanda e Uganda. È una guerra che si combatte non solo direttamente, con gli eserciti nazionali, ma anche per procura, cioè attraverso l’uso di gruppi armati irregolari. E lì, nell’est del Congo dove esistono già, ognuno finanzia e supporta quelli che meglio si adattano alle proprie esigenze.
Le prime elezioni libere che il Congo conosca si svolgono, sotto gli occhi dell’Onu, nel 2006. Ne esce vincitore Joseph Kabila, figlio dell’ex presidente Laurént Kabila, ucciso nel 2001 da una guardia del corpo durante un fallito colpo di Stato.
Nel marzo 2009, esattamente il 23 marzo, il governo congolese riesce finalmente a scendere a patti con uno dei gruppi ribelli, che da quel momento verrà cooptato nell’esercito nazionale: si tratta del Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo (Congrés National pour la Défence du Peuple, CNDP). Su questo gruppo il governo spera di fare leva per combattere altre formazioni ribelli, in particolare le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (Forces Democratiques de Liberation du Rwanda, FDLR), motivo di tensione col riappacificato vicino ruandese. Il governo fa di più e chiede al Ruanda di inviare sul proprio territorio truppe speciali, che vi rimarranno con successo dal febbraio 2011 all’agosto 2012.
Il piano del 23 marzo 2009 prevedeva, oltre all’assorbimento militare degli ex ribelli e alla loro rappresentanza politica, anche il reintegro delle zone di loro pertinenza nel tessuto economico e sociale dello Stato e una serie di provvedimenti pratici riguardanti vedove e invalidi di guerra, così come ex militanti.
Non funziona.
A 1600 km di distanza dalla capitale Kinshasa, in un paese quasi tutto boschivo dove le strade sono poche e generalmente non asfaltate, i rifornimenti per i reparti dell’esercito dislocati a est sono rari e scarsi. E per rifornimenti si intende un po’ di tutto: dalle divise alle armi, dagli stipendi al cibo. Le conseguenze si possono immaginare: militari demotivati, poco allenati, indisciplinati. In una parola l’esercito è debole o, come dirà esplicitamente il leader dell’M23 Sultani Makenga al giornalista Pierre Boisselet, «il Congo non ha un vero esercito».
Non è raro infatti che le comunità che l’esercito dovrebbe difendere dagli attacchi dei ribelli, decidano di formare nelle zone meno tutelate presidi militari locali, che vanno così a complicare il panorama, già complesso e anarchico, della guerriglia nel Congo orientale.

3. Correndo in cerca di un riparo dalla pioggia battente, due bambini trasportano taniche d’acqua in un campo profughi a ovest di Goma, il Mugunga 3. Lunedì 26 novembre 2012. Sono campi come questo, quelli in cui avvengono alcuni dei reclutamenti forzati denunciati da Human Rights Watch (AP Photo/Jerome Delay).
Nell’aprile e nel maggio 2012 l’esercito è indebolito ancora di più da una defezione di massa. Alcuni ufficiali rifiutano i gradi dell’esercito – che non sempre per altro erano loro stati riconosciuti da subito – e a capo di qualche centinaio di uomini, cui spesso sono legati da un passato comune, si danno alla macchia e si danno il nome di March 23, 23 marzo: in sigla, M23. Il gruppo rivendica infatti il mancato rispetto, da parte del governo e del presidente Kabila, dei patti siglati il 23 marzo 2009.
Uno degli ufficiali che hanno defezionato è proprio Sultani Makenga, che nell’intervista già citata dichiara: «Il nostro obiettivo è quello di raggiungere la pace totale. Il governo di Kinshasa divide e discrimina da lungo tempo, soprattutto i ruandofoni. Non lavora per la riconciliazione. Quando serviamo il governo come militari, siamo vessati e screditati. Siamo usciti dai ranghi per denunciare quello che non va. Invece di ascoltarci, il governo ha continuato a sterminarci».
Nelle parole di Makenga, un dato importante, la ruandofonia, cioè il parlare ruandese o l’essere ruandesi: questa ha fatto supporre a vari osservatori che il gruppo potesse essere sostenuto dal Ruanda e dall’esercito ruandese, in forma minore anche da quello ugandese.
In particolare Human Rights Watch e International Crisis Group hanno poi denunciato, tra il settembre e il novembre 2012, non solo gli abusi di cui sarebbero responsabili molti dei capi del gruppo M23 e vari suoi militanti, ma anche la presenza di ufficiali e semplici soldati dell’esercito ruandese in supporto al gruppo durante gli spostamenti e le azioni militari, e questo sulla base di numerose interviste a ex ribelli e civili sia congolesi che ruandesi.
I principali reati contestati sono quelli di stupro, uccisione di civili e reclutamenti forzati, sia in territorio congolese che in territorio ruandese; reclutamenti che hanno interessato sia uomini che ragazzi sotto i quindici anni e che hanno fatto scattare gli allarmi della Corte penale internazionale. Il Ruanda, che rischia di vedersi negare gli aiuti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti, ovviamente nega tutto, ma Human Rights Watch documenta prelevamenti forzati di piccoli gruppi di civili dai campi profughi in territorio ruandese, in particolare dal campo di Nkamira. A volte, sempre secondo quando riportato, l’esercito agisce più alla luce del sole: affida alle autorità locali il compito di riunire ragazzi e uomini che poi i militari scortano fino al confine per consegnarli ai ribelli M23. È il caso di 300 ragazzi radunati il 4 luglio dopo un’apposita riunione della dirigenza militare nel paese di Rwerere: sono per lo più giovani soldati smobilitati mandati coi ribelli a combattere le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda.

4. I poliziotti inviati a bordo di una lancia alla notizia del ritiro dei ribelli scoprono una volta attraccati al porto di Goma che la partenza è rimandata. E allora aspettano il da farsi. Venerdì 30 novembre 2012 (AP Photo/Jerome Delay).
Dal canto suo Makenga nega ogni vincolo col Ruanda o con l’Uganda, così come la presenza nel gruppo del generale ruandese Bosco Ntaganda. A capo dell’ormai ex gruppo ribelle del Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo, Ntaganda aveva firmato i patti del 23 marzo, defezionando anche lui ai primi di aprile quando il presidente Joseph Kabila aveva emanato nei suoi confronti un mandato d’arresto: fino ad allora l’aveva invece protetto dalla Corte penale internazionale, considerandolo un uomo chiave nel processo di pacificazione del Paese. Anche Ntaganda infatti, dall’eloquente soprannome di «Terminator», è ricercato per crimini contro l’umanità sin dal 2006, con rinnovate accuse dal 2012.
Makenga bolla tutto, i crimini e le relazioni, come invenzioni di Kinshasa e di un intervistatore corrotto di Human Rights Watch, accuse che servono per infangare quel movimento che si fa chiamare Esercito Rivoluzionario del Congo e che ai cittadini di Goma riuniti nello stadio della città ha promesso a gran voce un futuro diverso dal passato di miseria fino a ora conosciuto.
«La nostra guerra è fatta per loro – dice addirittura parlando dei rifugiati congolesi in Ruanda – per consentire loro di tornare a casa. I nostri piccoli fratelli che sono nei campi profughi, perché non ci sostengono? […] è la loro guerra. Pensa che siano felici di mendicare nei campi profughi?».
L’ufficiale ritiene che il federalismo possa aiutare a risolvere i problemi del Nord Kivu.
Dopo undici giorni, ora i ribelli dell’M23 sono in smobilitazione. Qualcosa si è mosso, i presidenti Kabila e Kagame si sono incontrati più volte e da Goma partono camion carichi di soldati, dalla vicina città di Sake si parla di una fila in tuta mimetica lunga più di un chilometro. Evidentemente una soluzione è stata trovata, utile almeno a far sì che i ribelli abbandonino questa e altre città vicine.
Quando venerdì 30 novembre si spargono le prime contraddittorie voci sul ritiro dei ribelli, una lancia con 280 poliziotti raggiunge Goma solcando le acque del lago Kivu: gli agenti devono assicurare che lo Stato e la sicurezza ritornino in città dopo che le telecamere della BBC hanno trasmesso a tutto il mondo le immagini dei poliziotti in fila per deporre le armi sotto gli occhi dei ribelli.
Poi però i ribelli tergiversano, spostano all’indomani la partenza e rimangono a Goma un giorno in più del previsto.
Anche i 280 poliziotti allora se ne rimangono ad aspettare sulla loro lancia.
E arrivata la sera il capitano della polizia Bradoc Aoshi dichiara, semplicemente: «Non possiamo passare la notte qui».
Fonti consultate:
Human Rights Watch, DR Congo: M23 Rebels Committing War Crimes, 11.09.12
International Crisis Group, Eastern Congo: Why Stabilisation Failed, 04.10.12
Human Rights Watch, DR Congo: US Should Urge Rwanda to End M23 Support, 20.11.12