Rossini al tempo della Grande Guerra: L’inganno felice a Venezia
di Martino Pinali
Giunta agli sgoccioli della Stagione 2013-2014, la Fenice di Venezia ripropone in scena degli spettacoli già collaudati e apprezzati dal pubblico: La traviata nel sempreverde allestimento di Robert Carsen, Il trovatore per la regia di Lorenzo Mariani, Don Giovanni secondo Damiano Michieletto, nonché L’inganno felice di Rossini, nell’allestimento di Bepi Morassi (che vi ha debuttato nel 2012, a duecento anni dalla sua prima rappresentazione).
A duecento anni di distanza, la Fenice torna ad omaggiare il genio di Rossini, che ha inaugurato la sua carriera musicale proprio a Venezia, con una serie di cinque farse (opere dal carattere buffo dalla breve durata) rappresentate per la prima volta al Teatro San Moise tra il 1810 e il 1813. Tra le cinque, tuttavia, si distingue L’inganno felice, che, a differenza delle sue “sorelle”, racconta un soggetto più serioso e a tratti drammatico. Il libretto di Giuseppe Maria Foppa mette in scena una storia di presunta infedeltà, rimorso e tradimento: il duca Bertrando è sposato con la bella Isabella, insediata però dal suo consigliere Ormondo. La donna, non cedendo alle sue lusinghe, ne suscita la vendetta: Ormondo s’inventa col Duca che la moglie gli sia infedele, e Bertrando ne ordina la condanna a morire tra le onde del mare. La navicella di Isabella, fortunatamente, approda su una spiaggia, dove viene soccorsa dal pietoso Tarabotto, che la accoglie come sua nipote Nisa. A dieci anni di distanza, tuttavia, Bertrando e Ormondo, con il servo Batone, giungono alle miniere dove Tarabotto lavora, dove la trama e il mistero vengono svelati: Bertrando e Isabella si ricongiungono, e Ormondo viene imprigionato.
Lo stesso regista dell’opera, Bepi Morassi, ha voluto accentuare ancora di più la “tragicità” dell’Inganno felice, ambientandolo in un luogo spoglio e scarno, in un’epoca temporale vicina a quella della Grande Guerra (come suggeriscono i costumi di Federica De Bona e le efficaci luci di Andrea Sanson). Scenicamente l’impianto convince, un po’ meno le gag farsesche ideate per Batone e Tarabotto, ma la “colpa” va ascritta non tanto alle intenzioni registiche quanto allo sgangherato libretto di Foppa.
Musicalmente, quest’Inganno felice è stato dominato da un cast di validissimi e giovani interpreti, a partire dalla “coppia buffa”: l’istrionico Tarabotto di Omar Montanari e il timoroso Batone di Filippo Fontana, disinvolti scenicamente e vocalmente (punto più alto della serata il duetto “Va taluno mormorando“). Positiva la prova di Marina Bucciarelli, appassionata e dolente Isabella, che affrontava un ruolo tutt’altro che semplice (la prima interprete del ruolo, Teresa Giorgi-Belloc, sarà la futura interprete dell’impegnativo ruolo di Ninetta de La gazza ladra). Degno suo contraltare, il Duca Bertrando sicuro e spavaldo di Giorgio Misseri, anch’esso impegnato in una parte abbastanza “dispettosa” (basti ascoltare la sua aria d’esordio “Qual tenero diletto“). Chiude le file il preciso e diabolico Ormondo di Marco Filippo Romano.
Il cast era diretto dall’attenta bacchetta di Stefano Montanari, alla guida dell’Orchestra della Fenice in un’opera accattivante e carica di spunti. Una menzione speciale a Roberta Ferrari, valida “spalla” al fortepiano.