Pubblicato il: Lun, Mar 30th, 2015

Elezioni in Nigeria, al voto tra volontà di cambiamento e violenza

di Riccardo Venturi

Le elezioni presidenziali e politiche in Nigeria si stanno svolgendo regolarmente, nonostante ritardi e violenze. Infatti, in quest’ultimo fine settimana di marzo, quasi settanta milioni di persone si sono messe in fila per esprimere il proprio voto e contribuire così al cambiamento di un paese che, troppo spesso, finisce agli onori della cronaca per atti terroristici o episodi simbolo di forte disagio sociale. Il relativamente alto numero di elettori registratisi nelle liste è dunque un chiaro segnale politico lanciato dallo stato più popoloso d’Africa; uno stato lacerato dai conflitti interni ma, grazie alla sua grandezza demografica, al suo difficile percorso democratico e al suo potenziale economico, decisivo per il futuro dell’area sub sahariana.

Goodluck Jonathan e Muhammadu Buhari (Fonte: repubblica.it)

Goodluck Jonathan e Muhammadu Buhari 

Il voto era inizialmente previsto per la prima metà di febbraio. L’elezione del presidente della Repubblica Federale e la scelta dei rappresentanti dell’Assemblea Nazionale è stata rinviata di sei settimane dalla Commissione Elettorale Nazionale Indipendente: l’offensiva dell’organizzazione jihadista Boko Haram, ormai internazionalmente nota soprattutto per i suoi metodi e scopi simili a quelli dell’IS, avrebbe reso impossibile la sicurezza degli elettori nelle regioni nord-orientali del paese. Il presidente in carica (nonché uno dei due principali contendenti) Goodluck Jonathan si è preso la responsabilità della decisione. La scelta del rinvio è considerata dai suoi oppositori come una mossa politica per guadagnare tempo e consensi. La crescita e la sempre più capillare presenza di Boko Haram sul territorio, hanno lasciato dubbi sull’operato dell’esecutivo nei confronti dei jihadisti. In questo ultimo mese e mezzo, Jonathan ha potuto contare su nuovi mezzi militari ed ha avuto modo di implementare differenti strategie, arrivando così a fine marzo con più carte in mano e con un’emergenza solo parzialmente contenuta, ma con la sicurezza dei cittadini nigeriani comunque lontana dall’essere garantita.

Infatti, gli attacchi di Boko Haram sono continuati anche durante le settimane scorse, fino ad arrivare alla strage di venerdì. Nella notte tra il 27 e il 28 marzo, circa una trentina di persone sono state decapitate a Buratai, nello stato nord-orientale del Borno. Oltre all’efferato crimine, è da segnalare il ferimento di decine di abitanti e la distruzione dell’intero villaggio. Altre violenze sono state perpetrate durante lo svolgimento del processo elettorale: in diversi seggi, più di venti persone in fila sono state freddate da armi da fuoco. La matrice degli attentati non è certa, ma alcuni testimoni riportano le grida dei killer che fanno immediatamente pensare a Boko Haram: “non vi avevamo detto di stare lontani dalle elezioni?”. Proprio come anticipato dal leader del gruppo jihadista, Abubakar Shekau, nei giorni scorsi. Tuttavia, non è da escludere il coinvolgimento di simpatizzanti dei diversi schieramenti politici. La Nigeria non è nuova a episodi di questo genere e l’esacerbamento delle tensioni potrebbe aver fatto scattare la violenza strumentale a fini politici, proprio come nelle precedenti elezioni del 2011, quando si dovettero contare più di ottocento morti. Nonostante i timori e gli attacchi, l’affluenza alle urne è rimasta comunque su livelli molto alti.

La violenza è stata la principale, ma non unica difficoltà per il regolare svolgimento del voto. Per questa tornata, è stato infatti adottato un nuovo sistema di controllo dell’identità degli elettori, allo scopo di evitare brogli. Con l’introduzione della tecnologia biometrica, viene verificata la corrispondenza tra impronte digitali e nominativi; nonostante ciò, il malfunzionamento di molti apparecchi ha costretto la Commissione Elettorale a prorogare la fine delle operazioni elettorali a domenica. Anche il presidente Jonathan ha dovuto fronteggiare gli stessi intoppi di molti altri suoi concittadini e, dopo varie ore di attesa, è stato accreditato manualmente.

Questi episodi hanno ulteriormente complicato una situazione già difficile, in un paese sempre più instabile dal punto di vista politico. La Nigeria infatti è una democrazia giovane (uscita dalla dittatura solo nel 1999), contraddistinta da profonde divisioni etnico-confessionali e dallo sfruttamento senza scrupoli delle sue materie prime. Divisa in trentasei stati (più la capitale federale Abuja), viene spesso superficialmente considerata socialmente spaccata in due tra il nord a maggioranza islamica e il sud cristiano. Tuttavia, le differenti etnie, appartenenze tribali e le croniche diseguaglianze economiche nel loro complesso, costituiscono un terreno fertile per le strumentalizzazioni politiche e per l’esasperazione dei sentimenti della popolazione locale. Mentre il cristiano Goodluck Jonathan viene spesso criticato per il suo orientamento filo-confessionale, il suo principale sfidante, il musulmano Muhammadu Buhari, è un esponente del regime militare precedente alla svolta democratica di fine millennio scorso. Già protagonisti delle precedenti tornate elettorali, questa volta Jonathan e Buhari sarebbero testa a testa nel computo dei consensi, mentre gli altri dodici candidati sembrano non avere alcuna chance di avvicinarsi ai numeri dei due principali sfidanti.

Tecnologia biometrica (Fonte: bbc.com)

Tecnologia biometrica 

Proprio la paura e la diffusa violenza (non solo jihadista, ma spesso e volentieri anche per mano dell’esercito) hanno portato i toni delle campagne elettorali agli estremi del nomale contendere democratico, mentre l’appartenenza religiosa ed etnica rimane un fattore decisivo al momento del voto. In particolare, il tema della sicurezza è stato utilizzato come principale punto di critica a Jonathan e al suo esecutivo, considerati incapaci di gestire il conflitto con i miliziani di Boko Haram. Questi, infatti, sono stati spesso affrontati e sconfitti in territorio nigeriano da eserciti stranieri, come quelli di Ciad e Niger (paesi anch’essi coinvolti nelle violente scorribande degli uomini di Shekau). Boko Haram rimane quindi il tema che ha dominato il dibattito politico degli ultimi mesi: l’impiego dell’esercito è stato complementare a un approccio politico-mediatico più morbido, volto alla deradicalizzazione di alcune aree del nord-est. Freedom C. Onuoha, research fellow del National Defence College di Abuja, in un’intervista a Limes sottolinea il decisivo impatto del gruppo jihadista sulle elezioni, in quanto anche causa dello sfollamento di un milione e mezzo di persone: nigeriani che in seguito hanno incontrato molte difficoltà burocratiche nel tentativo di esercitare il loro diritto di cittadini e che potrebbero avere un peso decisivo nel risultato finale. Ma proprio il forte desiderio di partecipazione a tutti i livelli, nonostante il deterrente delle minacce e degli attentati, lascia una speranza e fa guardare con ottimismo al paese africano più popoloso e tra i più decisivi per la stabilità dell’intero continente.