Giulia Volpato: Miss Italia come sfida al concetto di ‘normalità’
di Paola Mazzocchin
Giulia Volpato è nota ai giornali soprattutto per la sua partecipazione alle selezioni di Miss Italia. Giulia è una ragazza laureanda in Scienze Politiche all’Università di Padova ed è affetta dalla sindrome EEC: Ectrodattilia-displasia Ectodermica-palatoschisi, una patologia rarissima causata dalla mutazione del gene p63.
Entrando nel merito della sindrome EEC quali sono le conseguenze della mutazione del gene p63 sull’organismo e come si convive con i problemi causati dalla malattia?
La Sindrome EEC è una malattia genetica considerata rara fra le rare. Il gene p63 (che abbiamo tutti) è il responsabile alla formazione dell’80% del nostro organismo quindi, quando si malforma come nel mio caso, provoca problematiche ossee (malformazioni agli arti e palatoschisi), problemi alla pelle, capelli e unghie, regolazione differente delle ghiandole (ad esempio della sudorazione), problemi ai denti (assenza della maggior parte dei denti definitivi, specie se in presenza di palato-schisi) e due varianti molto gravi: reni o occhi. Nel mio caso ha colpito in modo gravissimo le cellule staminali della cornea, portandomi ad un residuo visivo di 1/20 (degenerazione progressiva che porta alla cecità).
Partecipare alle selezioni di Miss Italia è stata solo l’ultima delle tue battaglie. La stampa ti ha definita coraggiosa per questa decisione, ma tu personalmente ti sei sentita e ti senti coraggiosa o hai vissuto questa esperienza come qualcosa di naturale?
Miss Italia, quest’anno, per me è stata un’esperienza giocosa per la quale non è servito coraggio o sfida. A livello personale, come Giulia e basta, il concorso è stato divertente e spensierato (come dovrebbe essere per tutte); a livello di Giulia come “esempio per molti” anche. Per me le due dimensioni sono una unica: Giulia. Il coraggio per cosa ci deve essere? Se è per essere ciò che si è allora sì, mi ritengo coraggiosa.
Hai motivato la tua scelta con la volontà di scardinare i canoni di bellezza. Si potrebbe dire, quindi, che hai voluto mostrare il tuo corpo come atto di libertà e di rivendicazione del diritto ad essere trattata come pari. Che rapporto hai con la tua femminilità?
Il motivo per cui ho deciso di partecipare non era per scardinare i canoni di bellezza in quanto la ritengo un canone assolutamente soggettivo. Lo è stato, piuttosto, la volontà di dimostrare alle persone con malattie rare e senza, che se “tu” soggetto ti senti “normale” e vivi come tale, il resto della società farà più fatica a trattarti da “diverso”. Il fatto di sfilare in passerella, cosa per me naturale poiché figlia di stilista e con precedenti esperienze di sfilate, è stato un mezzo per testimoniare che, seppur con tutte le mie specialità (e non differenze) date dalla sindrome, ho le stesse possibilità delle altre concorrenti. Il mio rapporto con la femminilità è una cosa molto difficile da descrivere, cerco sempre di essere raffinata, elegante, armoniosa e delicata nei movimenti; nel momento in cui una donna sa dosare sensualità e raffinatezza senza cadere nella volgarità, ha in mano la chiave della femminilità restando ben dentro i limiti del rispetto dell’opinione altrui.
Come studentessa laureanda in Scienze Politiche sarai sicuramente al corrente della questione aperta in merito all’uso pubblico del corpo delle donne. C’è chi protesta perché vorrebbe essere valutata in base alle proprie qualità intellettuali, anziché meramente fisiche. Il tuo gesto, però, va in un’altra direzione e ci ricorda l’importanza della propria corporeità e di ciò che essa può veicolare, portando con sé un messaggio liberatorio. Il legame tra il corpo, la libertà, il diritto all’uguaglianza e all’autodeterminazione è stato un punto cardine delle lotte femministe. Cosa ne pensi e come consideri la femminilità rappresentata oggi nei mass media?
Oggi nei mass media non c’è femminilità, piuttosto lontane utopie di perfezione estetica (che a poco serve nei problemi di tutti i giorni). Il mio messaggio vuole essere un incentivo a ricordarsi sempre chi si è, quali sono i propri limiti e le proprie forze. Conoscendo quel che si è ed, eventualmente, quel che si ha (come nel mio caso) il “corpo” non diventa volgare. Io so cosa posso e non posso fare, cosa posso e non posso chiedere a me stessa nel rispetto dei miei limiti oggettivi. La conoscenza della mia corporeità mi aiuta tutti i giorni a vivere nelle situazioni più complesse; se non usassi il mio corpo (per colmare le difficoltà che la sindrome mi pone, come la vista colmata dall’udito), non riuscirei a vivere in modo normale ed autonomo.
Dallo scorso anno il concorso di Miss Italia non è più andato in onda sulla televisione pubblica, passando così ad un’emittente privata, con il plauso della presidente della Camera Laura Boldrini, la quale ha accolto la novità della Rai come una “scelta moderna e civile”. La tua partecipazione, tuttavia, dimostra che anche un concorso di bellezza può servire a far riflettere sulle differenze, affinché esse siano una ricchezza anziché un ostacolo. Che idea ti sei fatta sulla polemica tra Laura Boldrini e le ragazze che concorrevano per il titolo di Miss Italia?
Non so come fosse la realtà del concorso prima, posso solo dire che l’ambiente e l’integrità che ho trovato nell’organizzazione di quest’anno è stata impeccabile.
Hai ricevuto critiche in merito alla tua presenza alle selezioni del concorso? Alcuni commenti online agli articoli di giornale hanno sentenziato che non serve la conferma degli altri per riuscire ad accettarsi. Tu, però, hai sostenuto proprio il contrario, perché ti sentivi già bella e mostrarlo pubblicamente voleva essere una sfida alle convenzioni sociali e non una ricerca di approvazione. La tua azione mirava piuttosto ad affermare il diritto di ognuno a trovare un posto nella comunità, ognuno con la propria “diversità”. Cosa ti senti di rispondere alle critiche?
Critiche non me ne sono pervenute; qualche perplessità sì, ma è stata subito risolta dagli esiti più che positivi della mia partecipazione. Ci tengo a precisare che la mia scelta non è stata data dal bisogno di sentirmi bella o accettata, io già mi considero “bella” per quel che sono e la mia vita è piena di persone che mi stanno vicino; è stata una scelta all’inverso per dare delle certezze a chi, spesso, si dimentica di averle. Se partecipando posso aiutare qualcuno a capire l’importanza della sua persona (e parlo di persona, non del fisico!) ne varrà sempre la pena… se oltre a questo calcolo il divertimento, beh perché non farlo!
Riesci a far parlare della tua malattia attraverso i mezzi di comunicazione di massa come radio e televisione, dimostrando tutta la tua combattività. Hai potuto apprezzare dei cambiamenti nelle relazioni con gli altri in seguito alle tue apparizioni televisive?
Se le mie relazioni sociali si basassero sugli interventi radio-tv dovrei preoccuparmi dei miei amici! Nessun mutamento, chi c’era prima c’è adesso e continueranno a far parte della mia vita le persone vere e che sanno amare ciò che hanno.
Sul sito della associazione p63 SINDROME EEC International dedicato alla sindrome EEC, di cui tu curi la parte dell’ufficio stampa, è possibile donare il 5xmille per sostenere la ricerca scientifica. Come giudichi la situazione della ricerca sulla EEC in Italia e all’estero?
La ricerca sostenuta dall’associazione per cui sono testimonial mondiale e vicepresidente è iniziata nel 2009 per quanto riguarda le cellule staminali corneali adulte, con la donazione delle mie cellule. I traguardi ci sono, lenti, ma ci sono. Il problema al quale non riusciamo a provvedere da soli riguarda i fondi. Questa è l’unica ricerca mondiale per l’EEC. Purtroppo ancora troppi aspetti sono scoperti e dobbiamo lavorare con il supporto di tutti per poter trovare soluzioni efficaci e rapide.