Iraq: arrivano i primi soccorsi internazionali agli Yazidi
di Alberto Bellotto (@albertobellotto)
La comunità internazionale si sta mobilitando per gli Yazidi. Alcuni paesi hanno iniziato a stanziare fondi per gli aiuti da inviare alle oltre 20 mila persone dell’antica popolazione di etnia curda, e fede pre-islamica, ancora bloccate senza acqua e generi di prima necessità tra le montagne del Jebel Sinjar nel nord dell’Iraq. Provenienti in maggioranza dal centro di Sinjar e dai vicini villaggi, gli Yazidi sono stati costretti alla fuga dall’avanzata delle truppe dello Stato Islamico che lo scorso 3 agosto hanno iniziato un’offensiva contro le forze Peshmerga del Kurdistan iracheno.
La conquista di Sinjar è solo l’ultimo capitolo dell’avanzata che lo Stato Islamico sta conducendo in Iraq. Dopo la presa di Mosul all’inizio di giugno, e la trasformazione del gruppo in un vero e proprio Stato, anzi in un Califfato sotto la guida di Abu Bakr Al Baghdadi, le truppe con le bandiere nere hanno continuato a consolidare la loro posizione nel nord dell’Iraq, conquistando anche Bakhdida e Zumar.
L’arrivo dello Stato Islamico ha costretto migliaia di Yazidi alla fuga per la paura delle persecuzioni. L’IS, infatti, considera gli Yazidi come “adoratori del diavolo” e per questo il rischio di un genocidio, come dichiarato dal presidente americano Obama, rimane molto alto. Vian Dakhil, deputata Yazidi presso il parlamento iracheno, nel suo intervento alla camera ha urlato con forza le violenze che la popolazione sta subendo, in particolare donne e bambini.
L’iniziale stallo delle diplomazie occidentali ha causato alcune manifestazioni spontanee di protesta a Parigi e a Bielefeld in Germania.
Secondo una stima nell’area di Sinjar vivevano circa 300 mila Yazidi che per sfuggire agli uomini del califfato hanno cercato ogni via di fuga possibile. Alcuni si sono diretti verso le zone della Siria sotto il controllo delle milizie curde dell’YPG per poi tornare nel Kurdistan iracheno attraverso la località di Faysh Khabur, lungo le rive del fiume Tigri. Altri sono scappati verso la città di Dohuk a 170 km di distanza. Jonathan Krohn del quotidiano britannico Daily Telegraph, che è stato il primo giornalista ad entrare nella zona di Sinjar, ha raccontato che la maggior parte dei profughi ha raggiunto le varie località con mezzi di fortuna, raramente in auto, e molto spesso percorrendo più di 60 miglia a piedi.
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Circa 40 mila persone hanno provato a cercare rifugio nella catena montuosa del Jebel Sinjar incontrando però diverse difficoltà. Spaventati dall’avanzata dell’esercito 20 mila di loro sono ancora bloccati tra i valichi con temperature altissime e totale assenza di acqua o generi di prima necessità.
Le drammatiche condizioni dei civili e il rischio di una tragedia umanitaria, hanno spinto americani e britannici ad intervenire con il consenso di Baghdad. Per prima cosa l’aviazione americana ha effettuato una serie di bombardamenti per distruggere le postazioni dell’artiglieria dell’IS nel nord del paese, nei pressi della città di Erbil. In secondo luogo hanno iniziato una serie di lanci di aiuti di generi di prima necessità. Il primo ciclo è avvenuto nella notte tra sabato e domenica con l’invio di 28 mila pasti e 1.500 galloni di acqua. Successivamente l’aviazione ha effettuato un nuovo lancio nel pomeriggio di domenica con 36 mila pasti e 7 mila galloni di acqua. Dopo una momentanea interruzione dovuta alla paura di colpire i civili, la Raf ha informato di aver effettuato un nuovo lancio nella giornata di oggi.
In alcuni casi ci sono stati dei tentativi di salvataggio da parte dall’aviazione irachena che però non è riuscita a mettere in atto un piano preciso e organizzato. Ivan Watson, giornalista della CNN, era a bordo di uno di questi voli e ha documentato sia la consegna delle razioni che i tentativi dei profughi di salire a bordo dell’elicottero.
La Gran Bretagna ha stanziato oltre 13 milioni di sterline: 2 per le forniture d’emergenza sulle montagne di Sinjar; 3 per le ONG che già operano in territorio iracheno; 2,5 per la croce rossa internazionale per fornire aiuti medici e 500 mila per migliorare il coordinamento con le autorità curde nel nord dell’Iraq. La Francia ha annunciato il suo contributo inviando oltre 18 tonnellate di aiuti e promettendone altre 20 per i prossimi giorni. Anche la Germania ha predisposto 4 milioni e mezzo di euro per far fronte alla crisi. Con gli statunitensi è arrivato anche il contributo del Canada che ha offerto 5 milioni di dollari di aiuti in cibo, materiali da cucina, kit sanitari e coperte.
L’Italia per il momento ha dato il suo sostegno alle operazioni americane e inglesi. Nello specifico la ministra degli esteri Federica Mogherini ha dichiarato che vanno protetti: «i civili iracheni e in particolare cristiani e yazidi perseguitati da Isis» e per fare questo il governo italiano intende «sostenere lo sforzo delle milizie curde Peshmerga per fermare l’avanzata di Isis». La ministra ha fatto inoltre sapere che l’Italia ha stanziato 1 milione di euro per Oms e Unicef per il « ripristino delle condizioni di vita nelle aree abitate da minoranze cristiane nella piana di Ninive, sotto controllo dei Peshmerga».
Infine anche l’Unione Europea ha erogato nuovi fondi per gli aiuti umanitari, stanziando 5 milioni di euro che vanno ad aggiungersi agli altri 12 stanziati dall’inizio del 2014.
Aggiornamento 13/09/14, Ore 12:00
Alcune decine di migliaia di Yazidi sono riusciti a lasciare il complesso dello Jebel Sinjar entrando nel nord-est della Siria per poi sconfinare nuovamente arrivando nel Kurdistan iracheno. Il passaggio è stato possibile grazie all’intervento congiunto di diversi gruppi di origine curda, tra i quali il PKK, gruppo operante in Turchia e considerato dagli Usa un gruppo terroristico; il PDKI, partito curdo dell’Iran e il YPG, formazione curda operante in Siria. Le milizie della zona hanno aperto un corridoio permettendo la lunga marcia verso le città di Zakho e Dohuk.
PDKI and PKK fighters in Gwer, Iraq after ejecting Islamic State. pic.twitter.com/arR1EC8Vbv
— Vijay Prashad (@vijayprashad) 10 Agosto 2014
Anche la Turchia ha iniziato ad allestire luoghi di accoglienza con i primi arrivi nella cittadina di confine di Silopi. Secondo l’Unhcr, però, circa 20-30 mila Yazidi sono ancora bloccati sulle montagne rischiando la vita per la mancanza di generi di prima necessità.