Pubblicato il: Ven, Mag 16th, 2014

«Fanno finta di non vederti», la lotta di Giuseppe Nardi contro la burocrazia

di Adalgisa Marrocco

Una vita di lotte nella malattia. Lotte che arrivano alle estreme conseguenze, come fu per Bobby Sands, l’attivista dell’Ira che morì a seguito di uno sciopero della fame contro le dure condizioni carcerarie imposte dal Regno Unito. In questo caso, però, il nemico non è la Corona inglese. Il nemico è una presenza spesso ingombrante nella vita degli italiani: la burocrazia.

Se n’è andato nella notte fra il 9 e il 10 maggio Giuseppe Nardi, cittadino di Sermoneta di 62 anni affetto da 23 da tetraplegia. Se n’è andato, come Bobby Sands, per le conseguenze di uno sciopero della fame intrapreso per protesta verso l’INPS.

Si tratta di un assurdo burocratico, che per anni non ha trovato una via d’uscita, quello che ha coinvolto Nardi, già simbolo di una lunga battaglia per la libertà di cura e per la legalizzazione dell’eutanasia. L’uomo aveva, infatti, lavorato per 23 anni prima che, nel 1991, la sua vita fosse travolta da un terribile incidente stradale. Per un errore compiuto allora dal CAF, a Nardi venne riconosciuta dall’INPS la sola pensione di invalidità civile e non quella di inabilità al lavoro. La successiva correzione, arrivata due anni fa, da parte dell’Istituto di Previdenza, non gli aveva però accordato il riconoscimento degli arretrati spettanti dal 1991. Bisogna sottolineare che entrambe le pensioni, sommate, arrivavano appena a 730 euro. Inutili le vie legali, percorse anche grazie all’Associazione Luca Coscioni.

Il 3 maggio scorso Giuseppe ha scelto la forma più estrema di manifestazione, quella che mina il proprio corpo fino alle estreme conseguenze: lo sciopero della fame. Già tre giorni dopo era stato ricoverato in condizioni gravissime per un blocco renale e ogni tentativo di recuperare la salute è stato vano.

Il 31 ottobre 2013 Nardi aveva portato la propria testimonianza al X congresso Coscioni. Un intervento duro e disperato, che fotografava l’immagine di tanti malati che si sentono abbandonati dalle istituzioni. «Oggi come oggi», aveva detto in uno dei passaggi più drammatici, «io avevo chiesto l’eutanasia perché sono proprio stanco, sono 22 anni, 22 anni che sono a letto. Una volta in ospedale, il problema si è posto non perché sono paralizzato ma per i problemi che vengono dopo. Le istituzioni creano problemi, l’Inps, le Asl, tutti che fanno finta di non vederti, ma io riesco ancora a parlare, le braccia e le gambe niente, sono come un tronco. […] Di speranze ormai non ne ho più».

«La sua disperazione», ha detto Mina Welby, copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, «alla fine è arrivata al punto di scegliere una battaglia non violenta per ottenere giustizia, vedendo la sua famiglia in continue difficoltà per la sua cura, in un Paese dove l’assistenza per i malati è troppo spesso subordinata ad altri tipi d’interventi e ad altre priorità che in paese democratico non dovrebbero derubricare i diritti di chi è malato».