Pubblicato il: Ven, Mag 9th, 2014

Ripulire il Mediterraneo è solo l’inizio: intervista al responsabile di Let’s Do It! Italy

di Giovanni Della Poeta

Let's Do It! Mediterranean - fonte letsdoitmediterranean.wordpress.org

Let’s Do It! Mediterranean

Let’s Do It! Mediterranean (LDIM) è una campagna ambientale il cui obiettivo è quello di fermare l’inquinamento che affligge il Mar Mediterraneo, grazie alla partecipazione attiva di tutti i cittadini consapevoli della grave situazione in cui versano le acque dei nostri mari. Il movimento cerca di portare la questione all’attenzione dei governi, ai quali viene chiesto di approvare ed applicare legislazioni più rigide e sanzioni più severe per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, la depurazione delle acque, l’installazione di sistemi fognari efficienti e il trasferimento delle discariche a cielo aperto che si trovano a ridosso delle coste.

Il Referendum ha intervistato Vincenzo Capasso, coordinatore del progetto Let’s Do It! Italy, ramo italiano del movimento LDIM, che ci ha raccontato quali sono le iniziative in atto e in cosa consiste il fondamentale compito che spetta a tutti i cittadini che hanno a cuore la questione ambientale, la propria salute e quella dei luoghi in cui vivono.

Com’è nata la campagna Let’s Do It! Italy?

Il movimento è nato dall’associazione Cleanap nei giorni dell’emergenza rifiuti a Napoli, quando la raccolta non veniva effettuata e i palazzi erano sommersi. In quel momento, quando i cittadini hanno preso in mano scopa e paletta scendendo nelle piazze per ripulire la propria città, è nato anche il movimento Let’s Do It! Italy. L’elemento essenziale sono i cittadini. È un movimento che affronta la questione dei rifiuti sotto un punto di vista internazionale, perché si tratta di un problema generalizzato, la situazione è simile in molti paesi e dev’essere affrontata; contemporaneamente però è anche una campagna che viene dal basso, non di partito ma di azione, fatta di persone che cercano solo di salvaguardare i luoghi in cui vivono; cittadini e associazioni che cercano un dialogo con le istituzioni per riuscire a fermare il disastro che si compie ogni giorno.

In che modo agisce il vostro movimento?

Gli eventi di punta si terranno il 10 e 11 maggio, quando tutte le persone che hanno deciso di aderire al movimento si troveranno insieme per pulire le coste ed il mare, ma non ci fermeremo lì. Noi non vogliamo che i cittadini diventino spazzini del mare o si sostituiscano a chi è preposto alla raccolta dei rifiuti, l’obiettivo è quello di creare un movimento che divulghi consapevolezza e senso civico, che ad oggi è molto basso o inesistente. È di fondamentale importanza denunciare. Al di là del ripulire, bisogna avere il coraggio di denunciare quello che c’è sotto gli occhi di tutti per senso civico, per promuovere azioni di sensibilizzazione e soprattutto per mostrare alle istituzioni che non è sempre colpa del cittadino, ma che dovrebbero essere prese delle precauzioni diverse rispetto ad una situazione che è di degrado più assoluto.

Eppure ogni anno in Italia vengono assegnate decine di Bandiere Blu (BB).

La questione delle Bandiere Blu merita un discorso a parte. Uno dei fattori per l’assegnazione delle BB è il risultato delle analisi batteriologiche delle acque. Questo però ha due grandi limiti: le analisi non considerano la presenza di metalli pesanti e non vengono fatte periodicamente. Il fatto che non esista una periodicità dei campionamenti implica che i risultati dipendono molto dalle correnti, quindi non c’è molto da fidarsi di analisi così sporadiche come quelle che vengono fatte per le BB.

E per quanto riguarda i metalli pesanti?

Proprio oggi l’ex presidentessa dell’acquario di Napoli mi riferiva che le sostanze in mare che più andrebbero monitorate sono proprio i metalli pesanti, che poi finiscono all’interno dei pesci, e la plastica, che viene scambiata per plancton e quindi ingerita da parte della fauna ittica. Un servizio delle Iene mandato in onda poco tempo fa mostrava che dalle analisi fatte 1 pesce su 3, soprattutto di grandi dimensioni come tonni e pesci spada, risultava con livelli di metalli pesanti superiori alla norma. Pesci che, secondo medici esteri, non dovrebbero essere consumati più di 2 volte al mese. Ecco, quindi riflettiamo sulle BB.

Tornando a noi, come mai il nostro mare è così inquinato?

L’impatto ambientale di ognuno e quello che produciamo deve pur finire da qualche parte, e dato che la maggior parte della terra è composta di acqua ci sono maggiori possibilità che finisca nei mari. Oggi il Mediterraneo è la più grande discarica abusiva invisibile che utilizziamo. Invisibile perché quando noi sentiamo parlare di “Terra dei fuochi” si tratta di un qualcosa che si trova sotto terra, è tangibile, ben individuabile, la tocchiamo con mano e ci passiamo sopra ogni giorno con la macchina. Noi stiamo iniziando a monitorare anche lo stato delle acque dei fiumi, ad esempio del Sarno e del Po. Quando poi andiamo ad analizzare la situazione alla foce i risultati non sono affatto positivi. Questo perché tutte le aziende che si trovano lungo il corso del fiume sversano al loro interno. La maggior parte dei rifiuti fa parte della produzione industriale. Un esempio sono le aziende tessili che utilizzano coloranti dannosi per la salute che poi non vengono smaltiti in maniera corretta o finiscono direttamente nelle acque. O ancora gli autolavaggi dove non viene utilizzato sapone biodegradabile. Esistono tanti furbetti che non rispettano le regole. Ad esempio quando viene venduto qualcosa in nero, senza fattura, non c’è la documentazione necessaria per smaltire i rifiuti rimanenti dalla produzione, e quel materiale in qualche maniera dev’essere smaltito, quindi viene gettato via. Quando vi trovate davanti ad un campo di pneumatici ripensate a quando siete andati a farvi cambiare le gomme dell’auto e non vi è stata fatta la fattura. C’è anche da tenere in considerazione l’attuale situazione economica, la crisi sicuramente ha acutizzato il problema. Tutte quelle aziende che hanno dei rifiuti da smaltire in maniera costosa non possono più permetterselo.

Quale ruolo giocano le istituzioni?

La prima volta non è mai facile interfacciarsi con le istituzioni; noi chiediamo solo quello che prevede la legge: il corretto smaltimento dei rifiuti che noi raccogliamo. Perché nel momento in cui andiamo a costituire i cumuli di rifiuti, questi potrebbero essere intesi come discariche abusive ed il paradosso è che noi stessi rischiamo di essere denunciati! L’unica cosa che chiediamo è di prendersi cura del materiale che noi raccogliamo. Non è semplice perché questo ha dei costi, soprattutto se parliamo di materiali speciali, e non tutti i comuni sono disposti a sostenerli. Lo scorso anno abbiamo organizzato un’iniziativa sul Vesuvio, dove abbiamo trovato eternit, vernici e pneumatici in quantità così enorme da lasciare esterrefatti persino gli amministratori locali. Da parte dei cittadini non abbiamo avuto risposte negative, le uniche sono quelle delle istituzioni e derivano dalle spese da sostenere. Per il bilancio comunale è più conveniente che un pezzo di amianto rimanga dove è stato gettato piuttosto che farlo rimuovere, un’operazione che si tradurrebbe in migliaia di euro, e poi si dà sempre la priorità alle zone centrali tralasciando quelle periferiche. Ecco perché non abbiamo sempre una risposta univoca. Ci sono comuni che non danno la disponibilità perché non condividono la nostra voce e non vogliono supportarla, però noi faremo comunque l’azione di pulizia. I ragazzi si sono assunti la responsabilità di continuare anche se poi dovesse esserci una denuncia.

In che modo la vostra associazione cerca di combattere l’inerzia istituzionale?

Noi portiamo a conoscenza di tutti un grave problema. Ci rivolgiamo alla massa, non solo al cittadino consapevole e sensibile. Appoggiandoci ad enti o grazie a donazioni di cittadini possiamo sostenere i costi delle analisi delle acque. Ci rivolgiamo a tutte le strutture, i giornali, gli scout che fanno educazione all’ambiente, alle associazioni parrocchiali, a quelle turistiche e ambientali. L’ambiente non può essere settorializzato. L’ambiente non è di un’associazione, di una persona o di una istituzione. Attraverso la segnalazione noi facciamo la denuncia a mezzo stampa e presso l’istituzione. Devo anche dire con mio grande sconcerto che la denuncia mediatica è quella che funziona meglio. La segnalazione affiancata alla denuncia mediatica è lo strumento più veloce ed efficace. Inoltre abbiamo sviluppato un’applicazione per la mappatura dei rifiuti. Le segnalazioni finiscono in una mappa globale sul nostro sito, dove sono disponibili tutte quelle fatte in precedenza e le zone più attive. Serve principalmente a far capire che il problema riguarda tutti noi. È un ottimo modo per aiutare a capire quali sono i punti da tenere sotto controllo, dove i cittadini depositano i loro rifiuti o dove sversano le aziende. È un sistema aperto, in modo da far vedere, non solo alle persone cui compete ma anche a tutti i cittadini, qual è il problema da tenere sotto controllo. Ognuno ci metterà la faccia, perché non è più il tempo di nascondersi.

Le altre associazioni ambientaliste condividono la lotta di Let’s Do It! Italy?

Sì, molte collaborano con noi attivamente. Altre non partecipano per motivazioni secondo me assurde. La prima cosa che chiedono è se verrà messo il loro logo sul sito della campagna, è l’unica cosa che gli interessa, e noi questo tipo di comportamento non lo vediamo di buon occhio. Altre grandi organizzazioni fanno solo sensibilizzazione senza denunciare il problema. Fanno parte di alcune commissioni istituzionali, vivono il territorio da più di 20 anni e poi esce fuori qualcosa come la “Terra dei fuochi”? Vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Basti pensare che ad oggi le problematiche maggiori e di grande impatto sono state denunciate dai cittadini e non dalle grandi organizzazioni, che solo in un secondo momento si affiancano.

Quali sono le prospettive future?

Il grado di partecipazione è buono a tutti i livelli, cittadini, associazioni e istituzioni. Tutti noi ci aspettiamo ottimi risultati e sappiamo che sono possibili. L’Estonia, dove è nato il movimento Let’s Do It! World, è l’esempio tangibile che possiamo farcela. Ci sono stato 2 volte, ho visto le foreste, le zone protette, le periferie e i centri delle città. Sono riusciti a risolvere il problema dei rifiuti. Raccolta differenziata, corsi di riciclo e divieto di alcuni prodotti come i sacchetti di plastica. Sono riusciti a far scendere in piazza 50.000 persone in un paese che ne conta quasi 1.4 milioni. Noi dobbiamo riuscire a mettere in campo almeno 2 milioni di persone. Non possiamo farlo ora, ci vorrà del tempo, però sappiamo di potercela fare, e nel momento in cui scenderanno in piazza allora vorrà dire che ce l’abbiamo fatta. La forza dei cittadini esiste, forse non la si vede nel singolo, ma insieme hanno una forza straripante. Oramai nulla più può essere nascosto sotto il terreno o sott’acqua, tutti i problemi stanno venendo a galla.

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