Israele, migranti in sciopero per chiedere il riconoscimento dei loro diritti
di Valeria Vellucci
In Israele oggi si è giunti al quarto giorno consecutivo di sciopero da parte dei migranti. Una folla di 30mila persone, secondo le cifre fornite dalle organizzazioni per i diritti umani, ha invaso le strade di Tel Aviv. Sono soprattutto africani, provenienti da Eritrea e Sudan ed entrati in Israele attraverso il Sinai, coloro che hanno sfilato per le vie del principale centro economico del Paese. Urlate a gran voce ormai da mesi, le richieste consistono in un trattamento più dignitoso e nel riconoscimento del loro status di rifugiati. Il governo, tuttavia, considera le “pretese” come illegittime, ritenendo che il loro ingresso in Israele abbia delle ragioni economiche e accusandoli di essere un rischio per la sicurezza nazionale. “Infiltrati illegali” entrati in territorio israeliano senza permesso.
Il lungo corteo, il cui “quartier generale” è stato subito identificato nel Levinsky Park, si muove verso le sedi di varie istituzioni e ambasciate, tra cui quella americana, la sede dell’Unione Europea, dell’Unione Africana e dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati (UNHCR).
Alle richieste dei manifestanti, è lo stesso Netanyahu a rispondere duramente senza lasciar intendere un’apertura: «Siamo disposti a rimpatriare le decine di migliaia di migranti illegali che vivono in Israele, dopo aver ridotto il numero dei lavoratori immigrati irregolari nelle nostre città. I provvedimenti approvati all’unanimità sono necessari per mantenere il carattere ebraico e democratico dello Stato e ristabiliranno la sicurezza dei cittadini israeliani, in linea con le direttive della corte suprema e del diritto internazionale». Il Primo Ministro tiene inoltre a sottolineare che questi non sono immigrati ma «persone che hanno infranto la legge e verso i quali useremo tutti i mezzi consentiti». Yariv Levin, presidente della coalizione Likud–Beitenu, considera lo sciopero come «una bomba a orologeria che può essere disinnescata solo deportando gli infiltrati nel loro paese d’origine».
L’ambito prettamente legislativo ha subito importanti modifiche negli ultimi mesi. Nel novembre 2013 il governo israeliano ha approvato misure contro l’immigrazione illegale, comprendenti pene severe anche per i datori di lavoro che assumono migranti senza documenti. A dicembre, invece, è diventata legge una proposta che consente alle autorità israeliane di incarcerare, fino a un anno e senza processo, i migranti entrati in Israele senza permesso. Chiare violazioni del diritto internazionale sui rifugiati.
Oltre che dall’Onu, le condanne sul pugno di ferro utilizzato dallo Stato di Israele giungono anche dalle organizzazioni per i diritti umani, che denunciano l’arresto, e il conseguente trasporto nei “centri di detenzione”, di 300 richiedenti asilo. Walpurga Englbecht, rappresentante in Israele dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, il 5 gennaio ha diffuso un comunicato in cui critica duramente la posizione, e la politica, israeliana in materia di immigrazione, esprimendo sostegno ai manifestanti.
Si scende in piazza anche per mobilitare la comunità internazionale chiedendo un intervento per far sì che Israele riconosca i loro diritti. Non sono lasciate da parte le disumane condizioni dei cosiddetti “centri di raccolta”, così come vengono definiti dalle autorità israeliane. Attualmente, i più utilizzati sono quello di Holot, nel deserto del Naqab, e un altro appena inaugurato nel Negev. I migranti detenuti possono uscire durante il giorno ma devono presentarsi, ben tre volte, per firmare. Impossibile, in questo modo, avere una vita regolare oppure lavorare.
Israele, è inoltre accusato di violare la Convenzione dei Diritti del Rifugiato del 1951, e, dal giorno della sua fondazione (1948), di aver riconosciuto lo status di rifugiato a meno di 200 persone.