Hamas, svolta al femminile: la nuova portavoce è donna
di Giulia Mazzetto
Giovane, divorziata, madre di una bambina di quattro anni e, soprattutto, donna: sono caratteristiche inedite per dipingere il volto della nuova portavoce dell’esecutivo di Hamas.
Israa al-Mudallal, questo il nome della neonominata, ha 23 anni, proviene da una famiglia aristocratica di Gaza e parla con uno spiccato accento britannico, avendo frequentato per cinque anni il Bradford College nel Regno Unito. Ha studiato giornalismo all’Università islamica di Gaza, lavorando in seguito come reporter televisiva per una stazione locale e un canale satellitare iraniano in lingua inglese.
Il cambiamento nella politica di Hamas è iniziato già dalla primavera scorsa con l’insediamento del nuovo capo della comunicazione, Ihab Ghussein, che ha operato uno svecchiamento dello staff, ha approntato un sito web ufficiale del governo e ha favorito un ampio uso dei social network. Lo stesso Ghussein ha spiegato che la nomina della al-Mudallal costituisce un ulteriore sforzo per rendere Hamas più aperta verso l’Occidente e che erano presenti numerose donne tra le candidature considerate.
L’obiettivo della giovane portavoce è migliorare i rapporti con i media internazionali per riuscire a dare un’altra immagine del governo di Hamas, spesso associato ad azioni terroristiche in territorio israeliano. Nella prima settimana di carica, Israa al-Mudallal ha già fatto capire che il suo modus operandi sarà radicalmente diverso da quello utilizzato dai suoi predecessori: innanzitutto ha dichiarato di voler presentare ai media internazionali le questioni dal punto di vista umano, puntualizzando che l’Occidente non è permeato dalla sfera religiosa come l’ambito palestinese e, di conseguenza, fatica a comprenderla, acuendo l’aura di sospetto.
L’impegno di Israa è di sviluppare le questioni umanitarie, verso le quali l’opinione pubblica occidentale è più sensibile, incentrandosi sul fatto che Hamas combatte per i diritti umani dei palestinesi e difende bambini, donne, prigionieri e rifugiati. Così facendo, mira a rilanciare l’immagine di Hamas per abbattere quegli stereotipi negativi che con il tempo sono stati addossati all’organizzazione, facendo filtrare alla stampa straniera le notizie di cui l’Occidente parla meno.
Hamas l’ha scelta anche perché Israa ha vissuto all’estero e sa parlare a persone di diverse nazionalità. La giornalista di Gaza ha subito aperto account personali su Facebook e su Twitter, ma l’innovazione passa anche attraverso i vocaboli scelti nelle prime interviste ufficiali: parla di «Israele», anziché di «Entità sionista» e dice «Io non sono di Hamas, sono un’attivista palestinese che ama il suo Paese».
Riguardo al divieto assoluto di parlare ai giornalisti israeliani, al-Mudallal ha detto di non aver alcun problema a parlare con i media israeliani e di stare anche studiando la lingua ebraica per poterli seguire, sottolineando però di aver bisogno di un’autorizzazione ufficiale: «Se mi viene data l’autorizzazione io personalmente non ho problemi, ma per ora questa è la posizione del mio governo e la rispetto. I media israeliani scrivono molte cose contro di noi. Se accettano le questioni sui diritti umani, se ci trattano come popolo occupato, allora sì, possiamo anche parlarci», ha affermato, rispondendo così indirettamente al quotidiano online israeliano Ynet, il quale aveva accusato la nuova portavoce di aver rifiutato una richiesta di intervista.
Nell’Ufficio Stampa governativo di Hamas i sottoposti sono tutti uomini più adulti di lei, ma pare ne tessano già le lodi trovandola molto determinata e piena di idee interessanti, anche se in questa prima fase, per sua stessa ammissione, l’attenzione dovrà essere prevalentemente concentrata su questioni interne di carattere sociale: ad esempio sulla gioventù di Gaza, sui profughi e sulla condizione femminile in una società che, nonostante qualche spiraglio, resta comunque molto conservatrice.
Si può dire che la mossa dell’esecutivo di Gaza sia quasi rivoluzionaria, non soltanto perché si tratta della prima donna posta a ricoprire un ruolo simile, ma anche perché per la prima volta Hamas si apre ad un nuovo linguaggio, tenta una differente strategia comunicativa per curare la propria immagine all’estero.