Turchia: violazioni dei diritti umani di massa durante le proteste di Gezi Park
di Valeria Vellucci
È proprio negli stessi giorni in cui l’attenzione è rivolta al nuovo «pacchetto di riforme democratiche» promosso dal Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdoğan, che Amnesty International pubblica il suo rapporto: “Le proteste di Gezi Park: la brutale negazione del diritto di manifestazione pacifica in Turchia”. L’accusa principale: aver compiuto gravi violazioni dei diritti umani di massa.
Sono trascorsi 4 mesi da quel 28 maggio, quando i giovani stambulioti diedero vita alle proteste in opposizione dell’abbattimento di Gezi Park, polmone verde nel cuore di Istanbul. In pochi giorni piazza Taksim si tramutò nel luogo in cui poter urlare il malcontento nei confronti della politica di islamizzazione attuata dal Primo Ministro e dal suo partito, l’Akp. Cortei, manifestazioni e sit-in, non più circoscritti alla sola megalopoli turca, furono duramente repressi con l’utilizzo di una violenza sproporzionata, ingiustificata e spesso gratuita. Immagini di Istiklal Caddesi letteralmente ricoperta dal fumo dei gas lacrimogeni, giovani investiti dal getto dei cannoni ad acqua, agenti che picchiano i manifestanti, proiettili di gomma utilizzati in modo non adeguato e giornalisti a cui è impedito di svolgere il proprio lavoro, documentare. Ottomila feriti e 4 morti. Il tutto si è svolto dinanzi agli occhi increduli dell’opinione pubblica internazionale e di un governo, quello turco, non predisposto al dialogo e ad un cambio di rotta.
Condanne e disapprovazione venivano pronunciate in particolare dalle associazioni per i diritti umani e, sin da subito, Amnesty ammonì il duro comportamento della polizia. «Il tentativo di schiacciare il movimento di protesta di Gezi Park ha comportato il ricorso a tutta una serie di violazioni dei diritti umani di ampia portata: dalla totale negazione del diritto di manifestazione pacifica alla violazione del diritto alla vita e alla libertà personale fino ai maltrattamenti e alla tortura». Questo è quanto ha dichiarato l’esperto di Turchia presso Amnesty International, Andrew Gardner. Nello specifico, il rapporto si pone di denunciare le tecniche e gli strumenti utilizzati dalla polizia durante gli scontri. Analizzate e messe in evidenza, sono: le gravi percosse subite dai manifestanti, uso di pallottole di plastica dirette al capo e alla parte superiore del corpo, lancio costante e diretto di gas lacrimogeni anche all’interno di edifici privati oppure ospedali, aggiunta di agenti chimici irritanti nei cannoni ad acqua, utilizzo di proiettili veri, aggressioni sessuali e percosse.
Inoltre, ci si sofferma sullo scarso livello di addestramento degli agenti, sulla supervisione quasi inesistente, sulla consapevolezza che molto difficilmente verranno identificati e sottoposti a provvedimento giudiziario. Molti dei manifestanti che hanno organizzato oppure preso parte alle proteste, sono stati arrestati con accuse eccessive e talvolta inesistenti. Alcuni testimoniano di essere stati trattenuti in luoghi non ufficiali di detenzione. «Centinaia di persone sono sotto processo solo per aver partecipato alle proteste, in assenza di prove che abbiano compiuto atti di violenza. Molti di coloro che sono accusati di averle organizzate sono indagati ai sensi della legge antiterrorismo».
Al governo turco viene richiesta una maggiore tolleranza delle opinioni dissidenti, delle proteste di piazza, un controllo adeguato ed efficace di equipaggiamento e addestramento delle forze dell’ordine, ma soprattutto che queste agiscano nella legalità. Ai governi e ai produttori di strumenti per il controllo delle sommosse, invece, viene proposto di mettere al bando l’esportazione verso la Turchia. Il divieto, nel parere di Amnesty International, dovrebbe rimanere in vigore fin quando il governo turco non permetterà il regolare svolgimento di indagini e i materiali antisommossa utilizzati secondo quanto prevedono gli standard internazionali.