PRISM, emergono i numeri. E l’UE vuole garanzie per i suoi cittadini
di Andrea Gentili
Prism, ovvero il super programma dell’intelligence statunitense che controlla i dati di migliaia di utenti online, è entrato anche nell’ottica europea. Lo hanno riferito nella giornata di venerdì i responsabili degli Interni e della Giustizia di UE e il procuratore generale degli USA, riuniti a Dublino. La preoccupazione che i dati raccolti da Prism intacchino anche la privacy dei cittadini europei, ha indotto l’Unione Europea a chiedere maggiori informazioni sul programma dell’NSA. Cecilia Malmstrom, commissario dell’interno per Bruxelles, ha affermato: «il programma Prism non può continuare a funzionare a spese dei cittadini europei». Ci vogliono delle garanzie, e quale migliore occasione di quella del 39° G8, in programma per domani e martedì in Irlanda, per chiarire i dubbi e verificare i dati? Da quanto traspare, sembra che l’argomento verrà toccato proprio in questo G8, perché «gli Usa hanno capito le nostre preoccupazioni e sono pronti a fornirci tutte le informazioni necessarie su questa questione sensibile» spiega Malmstrom.
Il dibattito sulla privacy e questa speciale controversia tra UE e USA non sono novità: già da anni Bruxelles chiede spiegazioni agli Stati Uniti in merito alle loro leggi sulla privacy e sulla sicurezza. Attualmente in vigore negli Stati Uniti è il FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), che prevede la possibilità di controllare i dati delle persone sospette fuori dagli Stati Uniti, anche quelli online, per prevenire minacce terroristiche al Paese. La commissaria per la Giustizia UE Viviane Reding, aveva già chiesto in una lettera a Holder, procuratore generale USA, di adottare invece uno specifico strumento legale per accedere ai dati, il Mutual Legal Assistance Agreement, un metodo che richiederebbe l’approvazione di un giudice.
In America invece, dopo la smentita ufficiale di Google, Facebook e Apple, sono arrivate le prime ammissioni. Venerdì scorso, Zuckerberg aveva scritto un post sul suo social network, affermando che «Facebook non è, e non è mai stato parte di alcun programma che dia agli Stati Uniti o a qualsiasi altro governo accesso diretto ai nostri server. Non abbiamo mai ricevuto richieste o ordinanze del tribunale da alcuna agenzia governativa di informazioni o dati. E se pure le avessimo ricevute, le avremmo respinte con forza». A una settimana dal post di Zuckerberg, arriva nella “newsroom”, uno scritto di Ted Ullyot, il super avvocato di Facebook, togliendo di fatto ogni dubbio sull’esistenza e sul funzionamento di Prism: «in questi primi 6 mesi del 2013, il numero di richieste per accedere a profili Facebook, pervenute dalle amministrazioni degli Stati Uniti (incluse le amministrazioni locali, gli Stati federati, lo Stato federale) sono state tra i 9000 e i 10000. Queste richieste avevano una ampia gamma di provenienza: da piccoli casi come lo sceriffo in cerca del bambino scomparso, ai marescialli federali in cerca di un fuggitivo, al reparto investigativo della polizia impegnato in un assalto, fino alla sicurezza nazionale contro minacce terroristiche (solo queste ultime sono tracciate da Prism, n.d.r.). Il numero totale di profili Facebook per cui furono chiesti i dati, in questi ultimi sei mesi è stato di 18-19 mila».
Microsoft invece ha dichiarato che, nello stesso periodo, ha ricevuto 6-7 mila richieste, per un totale di 31 mila account circa.
Si tratta, in entrambi i casi, di numeri aggregati, cioè che raccolgono la somma di tutte le richieste fatte dalle amministrazioni sia locali che nazionali statunitensi: non sappiamo ancora quanti sono con esattezza i profili richiesti proprio dal programma Prism, ma il The Guardian, il principale giornale assieme al Washington Post che ha dato via all’inchiesta, ha dichiarato di avere ancora altro materiale da sfornare. Se ne vedranno delle belle.