Mugabe, accusato di tortura delle minoranze, a Roma per la messa inaugurale del Pontificato
di Valeria Vellucci
Circa 150 delegazioni, provenienti da tutto il mondo, sono attese a Roma in occasione della messa inaugurale del Pontificato di Papa Francesco, la quale verrà celebrata domani in Piazza San Pietro. Dalla cancelliera tedesca Merkel, alla tanto attesa presidentessa argentina Cristina Kirchner, la Città del Vaticano si prepara in queste ore, all’evento che darà ufficialmente inizio al pontificato del neoletto Papa.
Tra capi di stato ed altre importanti rappresentanze, figura anche il nome di Robert Gabriel Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Atterrato a Fiumicino nelle prime ore di stamane, la sua presenza è sicuramente al centro dell’attenzione, chiacchierata, nonché da alcuni addirittura disapprovata. Non è questa, tra l’altro, la prima visita ufficiale compiuta da Mugabe nel nostro paese, fu infatti presente già nel 2005, in occasione dei funerali di Giovanni Paolo II, e nel 2011 per la sua beatificazione. La presenza di Mugabe è una presenza come un’altra, dato che l’evento è aperto a tutti e ‘non esistono inviti specifici’ per partecipare alla messa. Questo quanto ha dichiarato nei giorni scorsi Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede.
Il leader del partito ZANU, Zimbabwe African National Union, domina la scena politica del paese da un trentennio, fu Primo Ministro dal 1980 al 1987, per poi divenire Capo di Stato il 31 dicembre dello stesso anno. Motivo di tanta attenzione è sicuramente la non proprio limpida reputazione di cui gode. Mugabe, accusato dalla comunità internazionale di essere un feroce dittatore, figura in quella che è la cosiddetta lista delle ‘persone non gradite’ nei paesi dell’ Unione Europea e Stati Uniti d’America. Persecuzione e tortura di avversari politici e minoranze, appropriazione degli aiuti internazionali inviati al suo paese, espropriazione forzata di beni e possedimenti, brogli elettorali ed addirittura accuse di intimidazione, aggressione ed arresti arbitrari contro gli uffici del movimento Galz. Human Rights Watch, nel 2012, richiama Mugabe per i suddetti motivi, indirizzando lui una lettera. Queste alcune delle accuse rivolte all’ottantanovenne presidente. Tutte chiare violazioni dei diritti umani.
È, da circa un decennio, e a seguito delle inchieste condotte in particolar modo dalla Comunità Europea, che gravano sulla sua persona le sanzioni imposte da quest’ultima. Tra le importanti restrizioni, compare anche il divieto di viaggiare in Europa, fatta eccezione che per quelli che vengono definiti come ‘obblighi religiosi’. Ma, seppur goda della fama di feroce dittatore e la sua presidenza sia definita ‘Regno del terrore’, Mugabe ci tiene a ribadire la sua profonda fede, e a ricordare il suo passato di frequentazione delle scuole gesuite.
Lo Zimbabwe, già piegato da una pesante crisi economica che ha letteralmente trasformato l’economia del paese, sta attraversando una tra le fasi più delicate della sua storia recente. Appena tre giorni fa, il 16 marzo scorso, si è svolto un’importante referendum costituzionale che ha condotto alle urne 5 milioni di cittadini, chiamati a scegliere se volere o meno apportare delle importanti modifiche alla nuova costituzione. Tra le riforme più importanti: numero di mandati presidenziali, limitati a due per un totale di 10 anni, e norme a garanzia del rispetto dei diritti umani. Seppur le previsioni indichino una vittoria del sì, l’esito ufficiale è previsto per i prossimi giorni.
E mentre Mugabe attende l’inizio della messa di Piazza San Pietro, il suo paese vive un’altra trepidante attesa, auspicandosi che i risultati del referendum siano quelli che condurranno ad una svolta e al cambiamento.