Pubblicato il: Mer, Mar 6th, 2013

Arabia Saudita: donne protagoniste delle nuove proteste nelle principali città del Regno

di Valeria Vellucci

L’Arabia Saudita, governata dalla monarchia assoluta della famiglia Al-Saud, non ha certo conosciuto l’avvento di quella che è ormai nota come ‘Primavera Araba’. Negli ultimi due anni, tuttavia, il paese è stato ugualmente attraversato da progressivi accenni di protesta, i quali hanno avuto luogo nelle piazze delle maggiori città. In Arabia Saudita, a differenza di altri paesi, le forme pubbliche di protesta sono proibite, ma, nonostante tale divieto, è da circa due anni che una consistente parte della popolazione esprime pubblicamente il proprio malcontento.

Donne saudite manifestano a Buraida

Negli ultimi mesi, dall’inizio del 2013, varie sono state le città investite da nuove ondate di protesta, registrando una crescita di partecipazione soprattutto da parte delle donne. Una delle recenti e più aspre giornate, è stata sicuramente quella del 9 febbraio scorso, quando importanti manifestazioni si sono avute nella capitale, Riyadh, e nella città di Buraida, capoluogo della provincia nord-occidentale di Al–Qassim.

Le proteste di Riyadh si sono svolte principalmente di fronte alla sede centrale della NSHR, Società Nazionale per i Diritti Umani ed affiliata al governo saudita. I manifestanti hanno intonato slogan come ‘Liberate i prigionieri politici’. Essendo, qui, la protesta, un ‘non diritto’ del cittadino, la polizia è immediatamente intervenuta arrestando e, a quanto affermano i testimoni, compiendo maltrattamenti e violenze fisiche nei confronti di minorenni e donne.

Oggetto comune delle proteste è stata, in primo luogo, la richiesta di liberazione dei numerosi detenuti politici rinchiusi nelle carceri saudite. Al di là delle disumane condizioni in cui sono costretti a vivere il periodo di detenzione, essi non hanno diritto ad una difesa, e, nella maggior parte dei casi, neanche a conoscere il capo d’accusa che ha condotto al loro arresto. I manifestanti sono accusati dalla polizia di ‘strumentalizzare’ i casi di persone imputate di crimini e attività legate a gruppi islamici estremisti vicini ad al-Qaeda per cercare di provocare reazioni all’interno dell’opinione pubblica.

Buraida, stessa protesta, medesime richieste, ora dinanzi all’Ufficio Reclami. Donne arrestate 26, bambini 13. Successivamente al ripetersi dei soprusi, sono stati costretti a trascorrere varie ore in commissariato, sottoposti ad estenuanti interrogatori, al freddo, senza mangiare né bere e senza un avvocato. Il rilascio è avvenuto solamente dopo due giorni.

L’anima della protesta saudita sono quindi soprattutto le donne, e, sebbene queste ultime siano soggette a forti discriminazioni, sono tra le più determinate ad affermare che le manifestazioni continueranno fino a quando i loro mariti, o parenti, non verranno rilasciati. «L’arresto di donne che chiedono la liberazione dei loro parenti che sono stati detenuti in carcere per anni, senza essere accusati o processati, è una grave violazione della libertà di espressione», questo è ciò che tiene a sottolineare l’Arabic Network for Human Rights Information.

Secondo la Commissione Islamica per i Diritti Umani, con sede a Londra, i prigionieri politici detenuti in Arabia Saudita sarebbero più di 30.000. Nonostante da molti anni organizzazioni internazionali per i diritti umani, quali Human Rights Watch ed Amnesty International, esprimano preoccupazione ed attività di monitoraggio circa le condizioni dei diritti umani in Arabia Saudita, il Regno nega, di fatto, che tali violazioni avvengano.

Le ultime opposizioni, che hanno portato all’arresto di 176 persone, risalgono a pochi giorni fa, quando un gruppo di dimostranti si è riunito nei pressi della procura di Buraida per richiedere la liberazione delle persone imprigionate a seguito di una manifestazione tenutasi lo scorso 27 febbraio. Tra questi, rinchiusi nel vicino carcere di al-Malaz, figurano anche tre donne, Hanan al-Amereeni, Hameeda al-Ghamidi e Bahia al-Rushudi. Quest’ultima è figlia del riformista Suliman al-Rushudi, arrestato nel 2007 e condannato poi nel 2011 a 15 anni di carcere. Bahia è accusata di ‘infedeltà al re’ e di aver fondato l’Associazione Saudita per i Diritti Civili e Politici. Human Rights Watch da tempo ne richiede il rilascio immediato.

Le proteste, tuttavia, non sono rimaste circoscritte alle sole città di Riyadh e Buraida, bensì si sono rapidamente estese anche ad altri centri, quali la capitale religiosa del Regno, La Mecca e la provincia orientale di Qatif. Inizialmente le contestazioni vertevano principalmente sulla richiesta di rilascio dei detenuti politici, sulla libertà di riunione ed associazione, nonché sulla fine della discriminazione. La protesta si è progressivamente trasformata in un malcontento generale nei confronti della famiglia Al-Saud. Gli attivisti non hanno mancato di far giungere richieste concernenti anche alcune riforme politiche: parlamento eletto e quindi l’abolizione del consiglio della Shura, ovvero quell’organo consultivo composto da 150 rappresentanti tutti scelti dal re.

Seppur il Regno Saudita non sia stato segnato dalle significative rivolte che hanno contraddistinto paesi quali Tunisia ed Egitto, le proteste di questi ultimi due anni sono sicuramente un segnale che il malcontento generale è profondo e diffuso, soprattutto all’interno della minoranza sciita.

La protesta sembra adesso avere assunto una forma alquanto definita ed organizzata. Per il 15 marzo sono infatti previste grandi e pianificate manifestazioni di massa in numerose città del paese, con la speranza che non siano caratterizzate, ancora una volta, dal silenzio dell’opinione pubblica e dei media occidentali.