Intervista a Matteo Iori, il gioco d’azzardo in Italia
di Michele Zagni
Lei è presidente del CoNaGGA, Coordinamento Nazionale Gruppo per Giocatori d’Azzardo. Di che cosa si occupa esattamente?
Il CoNaGGA si occupa di mettere insieme alcuni gruppi, enti, associazioni, cooperative ed enti senza fini di lucro che da anni gestiscono interventi per giocatori d’azzardo, con l’idea di mettersi insieme per scambiarsi buone prassi, confrontare le attività terapeutiche per i giocatori, le attività di prevenzione per i giovani e affrontare insieme eventuali problemi o proposte. Ci sono due caratteristiche per essere iscritti al CoNaGGA, ovvero essere senza fini di lucro, ed avere dei gruppi per giocatori d’azzardo.
Le chiedo un quadro veloce della situazione italiana rispetto al gioco d’azzardo, sia dal punto di vista legale, sia dal punto di vista del mercato del gioco d’azzardo in Italia.
Le leggi sono antiche, dei primi anni del ‘900: il codice penale del 1930, il codice civile del 1940 e il TULPS (Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza) definiscono cosa sia il gioco d’azzardo e quali siano i campi nei quali è possibile giocare d’azzardo e nei quali invece è vietato, nonché le leggi alle quali devono sottostare anche gli enti pubblici come i Comuni, le Regioni, eccetera. Paradossalmente il gioco d’azzardo è limitato solo da leggi che sono legate all’ordine pubblico e non alla sicurezza sanitaria o al ruolo sociale, e questo limita di molto eventuali prese di posizione che possono avere le USL o i Comuni, cioè coloro che in qualche modo sono legati alla Sanità e al sociale. Nonostante le leggi siano molto antiche, ci sono stati nel tempo alcuni adeguamenti, ma molto limitati, l’ultimo delle quali è il decreto Balduzzi. Il fenomeno “gioco d’azzardo” è cresciuto moltissimo in questi anni: 14 miliardi di euro fatturati in Italia nel 2004, che in un solo anno sono passati a 18 miliardi, poi a 35, 40 per diventare poi 80, di preciso 79,9, nel 2011. Quindi un fenomeno che continua ad aumentare.
Quali sono le previsioni per il 2013?
Innanzitutto gli ultimi mesi del 2012 hanno visto un calo rispetto ai primi mesi dello stesso anno, come se l’Italia avesse raggiunto una sorta di limite fisiologico, oltre al quale le persone non riescono più a spendere, un limite, per quanto alto, che per fortuna sembra esistere: pare che si sia ridotto l’incremento della crescita. Nel 2013 si ipotizza che continueranno ad aumentare in modo importante soprattutto i giochi online, che sono passati da avere un fatturato complessivo del 10% nel 2011 a più del 16% nel 2012. Nel 2013 si ipotizza che continueranno ad aumentare ulteriormente, probabilmente a scapito di altre forme di gioco d’azzardo.
Il decreto Balduzzi rispetto al gioco d’azzardo. Qual è stato il percorso, dall’ideazione all’approvazione nel novembre 2012, del decreto?
Sono state quattro le versioni del decreto Balduzzi, che è stato molto modificato nella sua evoluzione. Nella prima versione avevamo una serie di limiti per le distanze dai luoghi di gioco (non si poteva aprire un luogo di gioco a meno di 500 metri dai luoghi sensibili come scuole e ospedali) e per le pubblicità, che non potevano essere esposte nei mezzi di trasporto pubblico. Nella prima versione era inoltre previsto un rafforzamento specifico per l’amministratore di sostegno del giocatore d’azzardo; riassumendo, ci sono state una serie di attenzioni che sono state via via depotenziate.
Mi risulta, inoltre, che sia stato tolto un fondo che avrebbe dovuto finanziarlo.
Sì, era stato previsto un fondo specifico, legato al finanziamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), per garantire l’attuabilità di questo strumento che permetterebbe ai cittadini di potersi curare gratuitamente tramite i Servizi Pubblici, ma poi questo fondo è stato eliminato: resta oggi l’indicazione del gioco d’azzardo come un gioco che può portare un problema di patologia ma senza fondi previsti per la cura.
Tra l’altro i fondi sarebbero stati tolti da una parte del guadagno dello Stato, un segnale di maggiore attenzione e sensibilità a questo problema.
Sì, esatto.
Ludopatia: un termine molto utilizzato ma che non la convince. Come mai?
“Ludopatia” è un termine inventato dall’industria del gioco, non riconosciuto a livello internazionale perché l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e le organizzazioni internazionali sanitarie che si occupano di questo fenomeno, utilizzano il termine Gioco d’Azzardo Patologico (GAP). Quindi sarebbe bene parlare di GAP perché avremmo lo stesso linguaggio riconosciuto dagli altri Paesi, oltre a poter definire con più chiarezza il fatto che il gioco d’azzardo è quello patologico, non è il gioco in sé, non è il ludus, non è il divertimento del bambino quello patologico, è quello d’azzardo. E all’interno del termine ludopatia questa distinzione scompare, a vantaggio delle industrie del gioco.
La cosiddetta ludopatia è entrata nei LEA. Tutto risolto quindi?
No, non è risolto. Intanto dalla modifica del titolo quinto della Costituzione, la Sanità non è in capo esclusivo allo Stato ma alle Regioni, che diventano quindi determinanti nella decisione di ciò che è la cura sanitaria all’interno del proprio territorio (all’interno della quale ricade la cosiddetta ludopatia). Lo Stato non può dire che cosa è possibile curare in Italia senza avere un accordo con le Regioni. È accaduto che il ministro Balduzzi ha inserito il gioco d’azzardo nei LEA, ma ha fatto solo il primo passaggio perché, come specifica bene nella legge, occorrerà fare altri due passaggi: uno è legato alle commissioni ministeriali che dovranno dare il loro parere favorevole; la commissione Sanità, che molto probabilmente darà il proprio parere favorevole, ma anche la commissione Bilancio, che dovrà ipotizzare gli eventuali costi dell’inserimento della ludopatia nei LEA. Il secondo passaggio è la cosiddetta Conferenza Stato-Regioni, che è un luogo nel quale lo Stato proporrà un inserimento del gioco d’azzardo nei LEA e le Regioni dovranno dire se sono d’accordo o meno. Sicuramente il fatto che non sia previsto alcun fondo specifico per il gioco d’azzardo vedrà le Regioni molto preoccupate perché questo significherebbe apportare un’ulteriore dipendenza ai propri servizi pubblici senza avere poi le risorse per curarla.
C’è stato un incontro il 7 febbraio, ma non si è parlato di gioco d’azzardo.
Sì, ed è un peccato. Peccato perché tra poco cadrà il governo e quindi tutto il discorso rischia di allungarsi notevolmente.
A proposito di governo e di elezioni, lei in quanto presidente del CoNaGGA ha dato il via alla campagna “Mettiamoci in gioco”. Di cosa si tratta?
Il CoNaGGa è uno degli enti che ha promosso questa campagna nazionale, che si chiama appunto “Mettiamoci in gioco“, alla quale aderiscono molti altri enti di rilevanza nazionale tra cui il CNCA, la Federazione Italiana Comunità Terapeutiche, Libera, il gruppo Abele, L’Auser, l’Arci, l’Acli, CGIL, CISL, ecc. Ci siamo trovati d’accordo sull’importanza dell’alzare la voce rispetto ai rischi del gioco d’azzardo e, proprio per le elezioni, abbiamo fatto un incontro in Senato lunedì 11 febbraio, dove abbiamo chiesto ai candidati di vari partiti politici di firmare un appello sul gioco d’azzardo, con 8 punti specifici su cui abbiamo chiesto ai vari candidati di prendere una posizione. Ho aperto l’incontro facendo una relazione rispetto agli enormi conflitti d’interesse tra politica e gioco d’azzardo; molti soldi si muovono dall’industria del gioco e finiscono nei partiti politici o a determinati candidati. Alcuni ex politici finiscono addirittura nei consigli direttivi dell’industria del gioco, eccetera.
Rispetto al considerevole mercato del gioco che c’è in Italia, andando sul sito dell’Aams (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) si può notare come le entrate del gioco risultino enormemente maggiori rispetto al guadagno effettivo dello Stato. Dove finiscono gli altri soldi?
Più o meno il 77% di quello che nel 2011 è stato speso nel gioco d’azzardo è tornato indietro ai giocatori, è il cosiddetto payout. Ciò che è interessante notare è che compreso in esso ci sono moltissimi premi che in realtà non valgono nulla, ovvero non permettono al giocatore di guadagnare nulla: per fare un esempio nel gratta e vinci “Il miliardario”, da 5 euro, il 61% dei biglietti sono perdenti. Del restante 39% dei biglietti, ben il 28,5% restituisce al giocatore la stessa cifra che ha speso per il gioco. Ovvero spendi 5 euro e guadagni 5 euro: viene interpretato come premio quella che è la restituzione dei soldi spesi per giocare. Il resto viene diviso tra Stato e industria del gioco: lo Stato prende un po’ meno del 50%, la filiera dal gioco prende un po’ più del 50%. Quindi, prendendo i dati del 2011, su 79,9 miliardi di entrate 61,5 sono stati i miliardi del payout, 8,8 miliardi sono andati allo Stato ed i restanti 9,6 miliardi circa sono andati alla filiera del gioco, che va dal mega concessionario al piccolo tabaccaio.
Le percentuali della tassazione dello Stato rispetto al gioco d’azzardo, dal 2004 al 2012, sono calate in maniera drastica, riducendo quindi anche le entrate.
Sì, le ha ridotte però in termini percentuali, non in termini assoluti, dove sono rimaste sostanzialmente costanti; a fronte di un gioco che continuava ad aumentare in modo importante, anche la percentuale di quanto andava allo Stato diminuiva in maniera importante, quindi si passa dal 29% del 2004 fino all’8, 8 e mezzo% del 2012. Percentualmente i soldi che andavano allo Stato si sono ridotti sempre, anche perché i nuovi giochi introdotti hanno percentuali di tasse, il cosiddetto PREU (Prelievo Erariale Unico) sempre minori, a vantaggio sia dei giocatori, perché prevedono un payout maggiore, che a vantaggio dell’industria del gioco poiché essa guadagna in percentuale più rispetto al passato.
Lo Stato cosa ci guadagna?
Allo Stato interessa portarsi a casa quegli 8, 8,5 miliardi all’anno. Il problema è che mentre è comprensibile che allo Stato interessi continuare a portare a casa 8 miliardi e mezzo di euro all’anno, non è a mio avviso molto comprensibile il fatto che non si preoccupi minimamente dei costi sociali che questa operazione comporta. È vero che porta a casa 8 miliardi di euro, però 8 miliardi su 30 miliardi hanno un significato, mentre 8 miliardi di euro su 80 miliardi hanno un altro significato, sono una percentuale piccola. Questo significa che ci sono molte più persone che giocano d’azzardo e che spendono molti soldi. Una parte di costoro avrà problemi di dipendenza, il che significa costi sociali diretti da parte dello Stato, che può essere la cura per il trattamento delle dipendenze, costi indiretti come l’assenza dal posto di lavoro o come i furti, e costi sulla società come l’aumento delle separazioni, l’impoverimento della famiglia, ecc.
Quella che lei mi sta descrivendo appare come una scelta suicida da parte dello Stato.
Sicuramente non è una scelta a mio avviso lungimirante, strategica, saggia e attenta alle frange più deboli della popolazione, perché paradossalmente sono proprio coloro che sono più fragili ad investire nella speranza del gioco d’azzardo. Quindi c’è una doppia assenza di lungimiranza.
L’anno scorso è partito un progetto pilota che ha avuto un discreto successo, il Progetto Pluto. Pensa di riproporlo anche quest’anno?
Volentieri, nel senso che il Progetto Pluto è partito nel 2011 ed era la prima sperimentazione della Regione Emilia-Romagna di una comunità residenziale per soli giocatori d’azzardo. Un progetto molto breve, durato 3 settimane perché era un progetto sperimentale finanziato dalla Regione, con l’idea di riproporlo non più per sole 3 settimane bensì per tutto l’anno 2013. Il problema del taglio dei fondi ha però comportato un ridimensionamento molto importante e quindi non è ancora chiaro che cosa riusciremo a fare. Sicuramente non una struttura residenziale aperta tutto l’anno.