Internet Addiction Disorders: sesso e giochi online sono i cyber-disturbi più diffusi
di Chiara Gagliardi
Si chiamano “Internet Addiction Disorders”, identificati con l’acronimo IAD, e sono molto più diffusi di quanto non si pensi. Perfino chi crede di esserne immune sarà colpito da alcuni banali disturbi; questo è quanto asserito dallo psicologo californiano Larry Rosen attraverso un libro che in America è già un bestseller. Sta infatti per sbarcare in Italia iDisorder: Understanding our obsession with technology and overcoming its hold on us, opera prima di Rosen. Lo psicologo si premette infatti di fornire un’adeguata descrizione delle dipendenze che conseguono dall’uso sfrenato della tecnologia in cui la vita di oggi ci trascina. Non per ultime, le assuefazioni riguardanti i social network; ma nessuno, neanche chi non utilizza questi mezzi di comunicazione, si salva.
Le più famose sono anche le più temute, sono quei disturbi che già vengono riconosciuti come malattie dall’utente medio di Internet. Si parla di cybersexual addiction per indicare la categoria di individui dipendenti dal sesso virtuale: essi sono generalmente dediti allo scaricamento e all’utilizzo di materiale pornografico, oltre che al coinvolgimento in chat room erotiche. Fortemente legata a questa è la cosiddetta dipendenza cyber-relazionale, che porta chi ne soffre ad instaurare legami solo con persone virtuali, attraverso social network e relazioni online. In questa categoria rientrano anche il compulsive gambling (ossia il gioco d’azzardo in rete) e lo shopping patologico, che portano diverse persone a perdere grandi quantità di denaro. Se si è d’accordo nel riconoscere queste come vere e proprie malattie, che necessitano di cure mediche e psicologiche, molto più comuni e sottovalutati sono i disturbi che seguono.
Spaventa il “sovraccarico cognitivo”, anche conosciuto come information overload: davanti all’enorme quantità di informazioni fornite dai motori di ricerca come Google o Yahoo!, il cervello non è più in grado di focalizzarsi su un singolo argomento e prendere una decisione. E questo non avviene a livello conscio: chi soffre di questo disturbo passa da una pagina web all’altra, senza ricordare ciò che ha visto o letto, ma anche senza soffermarsi su un evento in particolare. Tutto, a livello cognitivo, viene percepito come “rumore”, e per questo il sovraccarico informativo viene archiviato e messo da parte senza che sia stata presa una decisione soddisfacente. Con l’avvento dei social network (prima di MySpace, poi di Facebook) è aumentata la dipendenza dai giochi online, anche nota come net-gaming: la differenza con la malattia del gioco d’azzardo compulsivo è che non si tratta di applicazioni a pagamento, bensì assolutamente gratuite. L’utente, dopo qualche partita, non è più in grado di mantenere le “scadenze” imposte dalla rete, né di controllare il proprio naturale istinto a vincere: tutto questo è fonte di stress, insonnia e narcisismo. Attenzione: è classificato come disturbo patologico anche il goldbricking, ossia il fingere di lavorare mentre si usa Internet per scopi personali. Esso porta a una diminuzione del rendimento professionale e ad una vera e propria alienazione del soggetto sul luogo di lavoro, una volta fonte di ricchi rapporti sociali. È proprio dedicato al motore di ricerca più utilizzato il Google effect, simile all’information overload ma con un concetto differente: è una malattia anche l’ascoltare con superficialità e incapacità di ricordare qualsiasi informazione, pensando: «Tanto poi lo cerco su Google». E per finire, nonostante la lista sia ancora lunga, il disturbo più eclatante, di cui soffre anche chi usa poco il computer: la phantom vibration syndrome, ossia la sensazione che il proprio cellulare stia vibrando quando in realtà non è così.
Queste malattie hanno effetti anche sulla vita lontana dallo schermo di un pc: sentimenti di onnipotenza, perdita del contatto con la realtà, insonnia, stress accumulato che non viene mai scaricato, isolamento sociale.
L’elenco di piccoli e grandi disturbi è lungo, e non è così difficile ritrovarsi in una o più descrizioni dei sintomi connessi ad ogni addiction disorder. Gli stadi di cura sono differenti: mentre per le patologie meno gravi può ancora bastare l’auto-limitazione, per quelle più problematiche è prevista addirittura la psicoterapia. Internet ha decisamente rivoluzionato l’ambito della comunicazione, velocizzando gli scambi e portando con sé tanti vantaggi. Una caratteristica che forse è determinante nel desolante scenario degli IAD è questa: la rete non pone alcun controllo sugli impulsi dell’uomo. Anzi, il web odierno è per molti versi in grado di sfruttarli; Internet offre tutto a portata di mano, con pochi click si raggiunge l’oggetto del proprio desiderio nel più assoluto anonimato. Non tutti, però, sono in grado di usare bene questo strumento: dopo le prime ricerche, l’impulso diventa ossessione. Rientra in questo anche l’eccessiva necessità di comunicare, attraverso Facebook e Twitter, in ogni istante della giornata, le proprie riflessioni. C’è quindi bisogno di un vero e proprio ripensamento di Internet e della sua funzione comunicativa: fino a che punto è giusto assecondare i propri istinti, e quando è opportuno, per l’uomo e per la sua salvezza, rialzare (anche solo in parte) quelle barriere che il web aveva contribuito a distruggere?