Caso Alcoa, la battaglia continua
di Angela Amarante
La mobilitazione degli operai dell’Alcoa non si ferma. Questa la decisione presa dai lavoratori a Portovesme, che si sono riuniti stamattina in coordinamento insieme ai delegati sindacali della Rsu diretti, delle imprese d’appalto e ai segretari provinciali di Fiom, Fim e Uilm, per fare il punto sulle iniziative da intraprendere.
«Noi non molleremo di certo, la nostra determinazione è forte», ha dichiarato Rino Barca, segretario provinciale Fim Cisl, sceso sabato sera dal silos su cui è rimasto per tre giorni insieme a Franco Bardi, di Fiom Cgil, per protestare contro il mancato impegno dell’azienda di rimandare lo spegnimento degli impianti, come era stato stabilito durante il vertice tenutosi a Roma lunedì scorso. A convincere i due a scendere, l’accordo firmato dalla società con i sindacati, in base al quale il 12 ottobre metà delle celle saranno ancora in funzione.
Quella dei due sindacalisti è solo l’ultima delle proteste messe in atto dai lavoratori di Portovesme. «Da oggi sino alla chiusura della vertenza ci sarà una protesta al giorno», aveva dichiarato Barca dopo il vertice di Roma, quando centinaia di operai hanno marciato per le strade della Capitale scontrandosi con la polizia in alcuni momenti di particolare tensione. La marcia su Roma degli operai era già avvenuta a fine agosto, con un sit-in di fronte a Montecitorio durato due giorni, mentre un gruppo di manifestanti si arrampicava sui cancelli del Mise ed altri si lanciavano nella fontana di Trevi. Nel frattempo protestavano le donne di Portovesme, e di lì a poco tre operai sarebbero saliti sul silos alto 70 metri dove sarebbero rimasti per quattro giorni. «Non possiamo vivere senza lavoro, questa fabbrica è il nostro pane», dicevano.
Il caso Alcoa è un esempio di malapolitica italiana bipartisan e di sfruttamento intransigente delle multinazionali straniere. Nel 1996 l’azienda acquisisce Alumix, una società pubblica, rilevando gli stabilimenti di Fusina in Veneto e di Portovesme in Sardegna. Nello stesso anno Alcoa ed Enel, controllata dallo Stato, stipulano un accordo decennale per tariffe agevolate. La società americana continua ad usufruire delle agevolazioni anche dopo la scadenza dell’accordo, grazie a due proroghe firmate da Berlusconi. I provvedimenti allertano la Commissione europea che giudica illegittimi gli aiuti di Stato concessi all’azienda: in quindici anni alla società americana sono andati circa tre miliardi di aiuti statali, pagati dai cittadini sulla bolletta dell’elettricità. Il 9 gennaio di quest’anno arriva il comunicato dell’ Alcoa: «Le attività negli stabilimenti Alcoa di Portovesme in Italia, di La Coruna e Aviles in Spagna verranno ridotte o fermate: l’obiettivo è quello di completare il piano entro la prima metà del 2012.
Questi stabilimenti sono tra i siti con i più alti costi nell’ambito del sistema Alcoa». In Italia l’energia costa oltre il 30% in più che nel resto dell’ Europa. Lo sconto deciso dal governo Berlusconi non è stato rinnovato e l’Alcoa ha avviato nuove trattative con l’Arabia Saudita. Così aveva dichiarato Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl: «Questa è una storia esemplare di una multinazionale senza responsabilità e scrupoli, che ha approfittato della svendita del patrimonio industriale siderurgico degli anni 90, ha spremuto come un limone gli impianti, i lavoratori e il territorio e ora ha bisogno di un alibi per gettare via il limone». L’Alcoa, un colosso da 9,6 miliardi di dollari, abbandona la Sardegna dopo aver ricevuto fiumi di denaro dallo Stato italiano. Il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera aveva annunciato che vendere l’Alcoa ad altri compratori sarebbe stato impossibile, nonostante avesse sul tavolo già da tre mesi la proposta di acquisto della società svizzera Klesch. Al tavolo delle trattative sono ora presenti diversi presunti acquirenti: la Klesch, con cui nel frattempo sono ripresi i contatti, e la Glencore, con cui mercoledì ci sarà un importante appuntamento a Roma al Ministero per lo Sviluppo economico, alle 9:30, insieme ai vertici di Regione, Provincia e Ministero.
Sindacato e operai non abbasseranno la guardia. «Non vogliamo indennizzi né fare i mantenuti poveri dello Stato. Vogliamo lavorare. Ci fa onore lavorare. Come abbiamo sempre fatto».