Siccità americana: la “Corn Belt” colpita dal caldo e dalla mancanza d’acqua spinge il prezzo degli alimenti
di Alberto Bellotto
Il “granaio del mondo” ha sete, molta sete. Gli Stati Uniti, primi produttori al mondo di cereali, mais e soia, sono stretti nella morsa del caldo e della siccità da diversi mesi. Le aree più colpite del territorio americano sono principalmente due: il sud, con gli Stati del Texas, Louisiana, Arkansas, Mississippi, Alabama; e il Midwest soprattutto in Illinois, Missouri, Iowa, South Dakota, Nebraska, e Kansas. Gli Stati della cosiddetta Corn Belt, la “cintura del mais”, hanno visto negli ultimi 3-4 mesi una diminuzione sensibile delle risorse idriche, mai così basse dal 1956, con pericolose ricadute sul piano agricolo. Il caldo secco, unito a modeste precipitazioni piovose, ha condizionato pesantemente la fase di impollinazione delle culture causando una diminuzione della qualità delle coltivazioni. L’intera fascia dall’Iowa all’Ohio si è trasformata in una distesa arida con i terreni bruciati dal sole e solcati da profonde crepe. Il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, nelle scorse settimane, ha dichiarato che oltre 1200 contee appartenenti a circa 26 Stati, sono da considerarsi come aree “colpite da disastro naturale”.
Il confronto con il passato si fa inevitabile. I primi timori riportano alla memoria la siccità del biennio 2007-08 che andò a colpire oltre 100 milioni di persone a basso reddito a causa dell’aumento vertiginoso del prezzo del grano. Scavando a fondo nella memoria si torna con timore agli anni ’30, gli anni della Dust Bowl. La grande carestia, che ebbe il suo picco nell’estate del 1934, colpì il Midwest e gli Stati del sud causando tempeste di sabbia e il più grave danno ecologico che la storia americana ricordi.
Al momento il rischio di un ritorno agli anni della grande depressione sembra scongiurato anche se i dati sul raccolto sono ugualmente preoccupanti. Un calcolo del Dipartimento dell’Agricoltura ha stimato che oltre il 60% del territorio americano è stato colpito dalla siccità e che l’88% delle coltivazioni risulta essere indebolito dal caldo, con il 45% del raccolto considerato “scadente o molto scadente”.
Per quanto riguarda le cause di questa violenta ondata di caldo e siccità, gli esperti si sono mostrati divisi. La National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia federale che monitora le condizioni atmosferiche, ha dichiarato che la fine dell’inverno è stata meno ricca di nevicate e con l’arrivo del disgelo la poca neve disciolta non ha inumidito a sufficienza il suolo causando l’innalzamento delle temperature. Secondo alcuni climatologi, la situazione andrebbe attribuita alla Niña, fenomeno climatico che raffredda le acque del Pacifico equatoriale di 4-5 gradi causando una modificazione delle precipitazioni negli Stati Uniti e portando la siccità negli Stati del Midwest. Secondo altri esperti potrebbe esistere un legame tra la siccità americana e il riscaldamento globale, anche se al momento non è possibile dimostrare una correlazione diretta. Intanto i meteorologi lasciano poca speranza per il restante periodo estivo: nel sud Illinois, in Arkansas, Nebraska occidentale e Kansas si raggiungeranno i 37 gradi. Il caldo continuerà imperterrito fino a settembre con il Midwest esposto a temperature sopra la media di almeno 3-4 gradi.
Questo lungo periodo di caldo e siccità avrà nel medio termine forti ripercussioni sul prezzo dei beni alimentari. Il Dipartimento dell’Agricoltura ha stimato un calo della produzione pari al 13% passando dai 314 milioni di tonnellate della stagione 2011-12 ai circa 273 milioni della stagione 2012-13. Tali previsioni sono andate ad influenzare il prezzo del mais e degli altri cereali. Al Chicago Board of Trade, il più grande mercato dei generi alimentari al mondo, il prezzo dei contratti a termine del mais, i futures, ha superato per la prima volta il limite psicologico degli 8 dollari al bushel (il bushel è l’unità di misura per la compravendita dei cereali utilizzata negli Usa e corrisponde a circa 25,4 kg), mentre i semi di soia hanno superato la soglia dei 17 dollari per bushel. Tali aumenti finiranno col ricadere anche sull’allevamento e sul prezzo della carne. Se da un lato il caldo fa diminuire la produzione di latte, dall’altro si stima che la carne subirà un incremento del 5% nei prossimi sei mesi.
La grave situazione statunitense influenzerà soprattutto il piano internazionale. Il mercato interno, nonostante l’aumento dei prezzi, potrà tranquillamente reggere l’urto, dato che in media la spesa per l’alimentazione in America si attesta intorno al 13% del proprio reddito. I danni maggiori rischiano di ricadere sui paesi importatori. La siccità americana, accanto alle piogge che hanno colpito i grandi appezzamenti della Russia e dell’Asia centrale, rischia di far calare drasticamente l’export con un conseguente aumento dei prezzi. Un recente rapporto congiunto della Fao e dell’Ocse ha stimato che nei prossimi 10 anni i prezzi alimentari subiranno un rincaro tra il 10 e il 30%. Nel breve periodo, si legge sempre nel rapporto, l’aumento dovuto alla siccità americana rischia di far aumentare il prezzo del mais del 50%.
Ovviamente il governo di Washington è corso subito ai ripari. Per prima cosa l’amministrazione Obama ha attivato una serie di prestiti a tasso agevolato per gli Stati colpiti dalla siccità. L’avvento delle elezioni presidenziali però non facilita il compito del governo. Il Congresso, a maggioranza repubblicana, fa ostruzione rallentando una serie di proposte che vanno dai sussidi all’agricoltura all’assistenza in caso di calamità naturale. Oltre a tutto ciò si affaccia anche il problema dei biocarburanti. Le grandi multinazionali del settore alimentare, come la Kraft e la Nestlé, hanno fatto pressione per eliminare la quota obbligatoria di cereali da destinare alla produzione di etanolo. Allo stesso tempo però, la nascente industria del biocarburante ha alzato le barricate, spaventata dal possibile stop di un mercato in espansione.
In un quadro internazionale preoccupante si scorgono comunque dei timidi segnali di speranza. Mentre il governo federale rimane bloccato, le amministrazioni locali si arrangiano come possono: sono state aperte allo sfruttamento circa 3,8 milioni di acri di riserve naturali e sono stati stretti accordi con le compagnie assicurative del grano per la proroga di 30 giorni del pagamento dei premi del 2012. Allo stesso tempo le associazioni degli agricoltori americani hanno dichiarato che nella stagione in corso la semina è stata superiore rispetto agli anni precedenti tanto che una parte delle perdite potrebbe essere compensata da una maggiore superficie coltivata.
Un altro aspetto chiave che potrebbe aiutare a contenere i prezzi, almeno per il momento, è il ruolo della Cina. Il governo di Pechino ha infatti diminuito la richiesta di grano agli Usa. Il gigante asiatico negli ultimi anni ha visto un deciso cambiamento delle abitudini alimentari. Il popolo cinese ha infatti ridotto il consumo di riso e cereali a discapito della carne allineandosi sempre di più a forme di consumo occidentale.
Nel lungo periodo però rimane un’ombra. Secondo la Fao il fabbisogno alimentare mondiale è destinato a salire. L’organismo internazionale stima infatti che la produzione mondiale di cibo dovrà aumentare del 60% nei prossimi 40 anni per far fronte alle dinamiche demografiche delle nuove potenze economiche: Cina, India, Brasile e Russia.