Pubblicato il: Mar, Feb 7th, 2012

Donne e lavoro: condizioni inferiori, stipendi più bassi

di Angela Amarante

Elsa Fornero

«Nel lavoro le donne hanno maggiori difficoltà nell’accesso, minore continuità e ridotte possibilità di fare carriera, pur partendo da un livello di istruzione superiore». Parola della ministra del Welfare con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero.

Si giunge facilmente a questa conclusione snocciolando alcuni dati. Per quanto riguarda l’inattività lavorativa, l’Istat fa notare che le donne italiane entrano nel mercato del lavoro tardi, e la situazione si aggrava per le donne del Sud che non hanno un titolo di studio superiore: semplicemente non trovano lavoro. Le disoccupate meridionali rappresentano il 15,4%, contro una media del 9%, le inattive sono il 64% rispetto a una media del 49,4%. In generale le donne trovano più difficilmente un impiego (il tasso di occupazione delle 18-29enni è il 35,4%, otto punti più basso di quello maschile), e quando lo trovano è precario, sottopagato e di scarsa qualità, cioè possiedono una qualifica superiore a quella richiesta (il 52% vive questa condizione diversamente dal 41,7% degli uomini).

Negli ultimi anni, contraddistinti dalla famigerata crisi economica, la situazione si è ulteriormente aggravata. Nel biennio 2008/2010 l’occupazione femminile è diminuita dell’1,1%, peggiorando anche in qualità. È aumentato il part-time involontario, cioè deciso dalle imprese, e solo lo scorso anno sono state 45mila le giovani che hanno perso il lavoro.

Secondo l’Isfol, Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, il fenomeno dell’inattività femminile «è il risultato di una complessa serie di fattori – come spiega Marco Centra, responsabile analisi e valutazione delle politiche per l’occupazione – legati al profilo del tessuto produttivo, al sistema di welfare del nostro Paese, ai modelli culturali ancora prevalenti in molte parti del territorio italiano». Le cause dell’inattività, sempre secondo l’Isfol, vanno ricercate «nella divisione del lavoro domestico all’interno della famiglia e al profilo del sistema di welfare italiano, caratterizzato da una scarsa incidenza di servizi alle famiglie e, in generale, poco incline alla conciliazione vita-lavoro delle donne». È necessario, quindi, un cambiamento di modello che venga incontro alle «esigenze di servizi» e di «un sistema europeo che chiede in maniera sempre più pressante una presenza femminile nel mercato del lavoro pari a quella degli uomini, con le stesse opportunità e con uguali retribuzioni».

Le donne hanno perciò maggiori difficoltà, rispetto agli uomini, nell’accesso al mercato del lavoro. E che dire riguardo la differenza di retribuzione? È del 20% il gap salariale rispetto agli uomini: ogni mese le lavoratrici italiane ricevono in media 1.104 euro netti, contro i 1.379 riconosciuti ai colleghi maschi. E il titolo di studio non aiuta ad abbassare il divario: nonostante gran parte delle occupate (73,4% contro il 59,9% degli uomini) sia diplomata o laureata, secondo un’elaborazione del Centro studi Sintesi per Il Sole 24 Ore, i guadagni netti delle graduate sono più bassi di quasi il 22% rispetto ai colleghi con pari titolo di studio, dislivello che scende al 21,2% per le diplomate.

Benché mediamente più istruite degli uomini e più presenti nei livelli impiegatizi, le donne non riescono a raggiungere le posizioni di potere, sono più precarie e lavorano più degli uomini a tempo parziale. Tra gli operai, il gender pay gap è del 32%, tra gli impiegati (dove si concentra il 59% del gentil sesso) del 19%. Ai vertici dirigenziali, invece, la distanza si assottiglia a poco più del 4%, ma è marginale la quota di occupate (appena l’1,3%) che arriva a ricoprire posizioni di comando.

Le prospettive professionali delle donne non sono certo rosee. La disparità con i colleghi uomini è appurata da tempo, ed è difficile prevedere quando il mercato lavorativo migliorerà in favore di chi, da sempre, soffre di evidenti disuguaglianze economiche e sociali. Per far fronte al numero sempre crescente di donne scoraggiate, quelle cioè che hanno smesso di cercare un’occupazione perché sanno che non la troveranno, solo lo Stato può intervenire, garantendo parità di condizioni. La strada è lunga, il mercato del lavoro soffre già di per sé di condizioni sfavorevoli per i lavoratori tutti. Il Governo affronta in questi giorni una lunga marcia verso una riforma del lavoro che possa definirsi “equa”, parola più che abusata di questi tempi. L’equità parte anche da qui: chi vuole lavorare, e possiede le capacità, i titoli, il merito per farlo, dovrebbe godere delle stesse possibilità degli altri. Non possono esistere minoranze, nella buona e nella cattiva sorte.