Caso Cucchi: dalla sua morte al fallimento dello Stato di diritto
di Stefania Manservigi
Cinque anni di processo e nessun colpevole. È stato questo il verdetto, sancito con una sentenza della Corte di Appello di Roma, per l’omicidio di Stefano Cucchi, il trentenne geometra romano deceduto nel 2009 durante la custodia cautelare. “Insufficienza di prove”. È sintetizzato tutto in questa formula l’epilogo amaro di una vicenda che ha fatto molto scalpore, che ha suscitato rabbia nell’opinione pubblica, e ha riaperto una ferita difficilmente sanabile dal tempo e dalle circostanze che colpisce dritto al cuore il sistema di diritto italiano.
Il caso Cucchi, e il tragico finale ad esso riservato, si inseriscono in quel filone di casi giudiziari (e non) aventi un unico denominatore comune: la responsabilità dello Stato. Stefano Cucchi è deceduto, infatti, per la negligenza (o qualcosa di più) dello Stato che lo aveva in custodia, e che non ha saputo proteggerlo e difenderne i diritti. Ed è proprio per questo che, se a testimonianza di ciò non fosse bastata la sua morte, la sentenza della Corte d’Appello pronunciata lo scorso 31 ottobre con la quale si è dichiarato non esserci nessun colpevole per l’omicidio di Stefano Cucchi, rappresenta un fallimento difficilmente superabile per lo Stato di diritto. Di uno Stato che prima sbaglia, e poi si assolve.
VICENDE PROCESSUALI – Il 22 ottobre 2009 Stefano Cucchi muore all’ospedale Sandro Pertini di Roma, in stato di custodia cautelare. Le indagini preliminari accertarono che a provocare la morte del ragazzo furono traumi conseguenti alle percosse subite, il digiuno (al momento della morte Cucchi pesava 37 kg mostrando un evidente stato di malnutrizione), la mancata assistenza medica, i danni al fegato e un’emorragia alla vescica. Determinante, inoltre, fu l’ipoglicemia in cui i medici lo avevano lasciato. A finire nel registro degli indagati furono gli agenti penitenziari Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici (rei di aver provocato al ragazzo le lesioni) e i medici Aldo Fierro, Stefania Corbi e Rosita Caponnetti con l’accusa di abbandono di incapace.
Durante le indagini, mentre si cercava di fare chiarezza e luce sugli ultimi giorni in vita di Stefano, emersero testimonianze da parte di alcuni detenuti: un testimone di origine ghanese dichiarò che Stefano Cucchi gli confessò di essere stato picchiato; il detenuto Marco Fabrizi chiese di essere messo in cella con Stefano, che si trovava da solo, ma un agente gli negò tale concessione; la detenuta Annamaria Costanzo affermò che il ragazzo le aveva detto di essere stato picchiato, e Silvana Cappuccio, invece, confessò di aver visto personalmente gli agenti di polizia penitenziaria picchiare Cucchi con violenza. Il 27 novembre 2009 una Commissione Parlamentare d’inchiesta, istituita allo scopo di far luce sugli errori sanitari nell’area detenuti dell’ospedale Pertini di Roma, individuò nell’abbandono terapeutico la causa di morte del ragazzo. Il 30 aprile 2010 la Procura di Roma contestò ai medici del Pertini il favoreggiamento, l’abbandono di incapace, l’abuso d’ufficio e il falso ideologico. Agli agenti della polizia penitenziaria vengono contestati invece lesioni e abuso di autorità. Si arriva così al 13 dicembre 2012 quando i periti incaricati dalla Corte stabiliscono che il giovane è morto a causa delle mancate cure dei medici, per grave carenza di cibo e liquidi. E per giustificare i lividi evidenti sul corpo di Stefano affermano che le lesioni potrebbero essere causa di un pestaggio o di una caduta accidentale e che «né vi sono elementi che facciano propendere per l’una piuttosto che per l’altra dinamica lesiva».
La sentenza di primo grado sul caso Cucchi viene pronunciata il 5 giugno 2013; la III Corte d’Assise condanna quattro medici dell’ospedale Sandro Pertini a un anno e quattro mesi e il primario a due anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre assolve sei tra infermieri e guardie penitenziarie, avendo ritenuto i giudici che questi non avessero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi.
Il 31 ottobre 2014, infine, con la sentenza d’Appello, vengono assolti tutti gli imputati per insufficienza di prove.
LUCI E OMBRE – La vicenda processuale di Cucchi è apparsa controversa fin dall’inizio. Le varie criticità emerse durante tutto l’iter processuale sono state riassunte da Vittorio Ferraresi, capogruppo 5 stelle in Commissione giustizia alla Camera, che ha così analizzato la situazione: «Il capo di imputazione scelto all’inizio, l’impianto accusatorio iniziale, era debole. Si è scelto di contestare lesioni agli agenti della polizia penitenziaria, con questo negando il rapporto di causalità tra le botte e la morte. L’assoluzione per insufficienza di prove è una diretta conseguenza di un dubbio probatorio non sciolto dalla perizia, a cui nel processo fece da contraltare la consulenza della famiglia. In appello, il Presidente della Corte avrebbe dovuto chiedere un nuovo parere, e cioè una nuova perizia che poteva sciogliere i dubbi».
LA BATTAGLIA DI ILARIA CUCCHI E LA SOLIDARIETÀ ALLA FAMIGLIA – Non si arrende Ilaria Cucchi, sorella del defunto Stefano, che, dall’inizio della vicenda processuale, si è sempre battuta alla ricerca di verità e giustizia, nella memoria del fratello. Nonostante l’amarezza e la delusione per la sentenza, Ilaria Cucchi ha dichiarato che avrebbe proseguito nella sua battaglia e, insieme al legale, sta già preparando il ricorso della sentenza in Cassazione.
Straordinaria, inoltre, la solidarietà da parte dell’opinione pubblica nei confronti della famiglia Cucchi. Sui social ha spopolato l’iniziativa #sonoStatoio, una campagna virale volta a sensibilizzare e mostrare la vicinanza ai Cucchi, ritenuti vittime di ingiustizia. Solidarietà è giunta anche dal mondo della politica, e in particolar modo dai 109 senatori del PD che, per voce del capogruppo Luigi Zanda, hanno dichiarato alla sorella e ai genitori di Stefano Cucchi «Siamo con voi e con la vostra richiesta di giustizia». Sulla questione si è pronunciato anche Pietro Grasso, Presidente del Senato: «Dobbiamo far sì che la morte di Stefano non sia vana per la costruzione di una società in cui i diritti dei deboli, i diritti delle vittime siano rispettati, perché questo è il compito di uno Stato che si definisca civile».