Legge 40 torna alla Consulta: uno degli ultimi divieti sottoposti al suo vaglio
di Serena Santoro
La legge 40 del 2004 torna al vaglio della Consulta. Il tribunale di Roma ha infatti sollevato questione di legittimità costituzionale sul divieto di accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche.
I ricorrenti – una donna portatrice sana di distrofia muscolare di Becker e il marito – si sono visti negare l’accesso alla pma e alla diagnosi preimpianto da parte del Centro “Sant’Anna”. Il tutto era nato da un’interruzione volontaria di gravidanza spontanea, avvenuta nella dodicesima settimana, che evidenziava la trasmissione della malattia genetica al feto. In seguito la coppia aveva deciso di rivolgersi alla struttura autorizzata del “Sant’Anna” per accedere alla procreazione assistita e, nell’intento di garantire al figlio una vita sana, alla diagnosi preimpianto. La coppia, però, ha ottenuto il rifiuto della struttura.
Il giudice della prima sezione civile del Tribunale di Roma, Filomena Albano, firmataria dell’ordinanza, ha evidenziato i limiti della legge 40: l’inviolabilità e la tutela costituzionale del diritto della coppia ad avere un figlio sano e il diritto all’autodeterminazione, anche nella procreazione. «Il diritto alla procreazione sarebbe irrimediabilmente leso dalla limitazione del ricorso alle tecniche di procreazione assistita da parte di coppie che, pur non sterili o infertili, rischiano però concretamente di procreare figli affetti da gravi malattie, a causa di patologie geneticamente trasmissibili, di cui sono portatori».
La Corte dovrà valutare rispetto alla legge 40:
- la violazione dell’articolo 2 che tutela i diritti inviolabili;
- la violazione da parte della legge del principio di uguaglianza sancito all’art 3. La legge, infatti, prevede un trattamento differente tra le coppie sterili o infertili e le coppie fertili, qualora portatrici di malattie genetiche;
- il diritto alla salute garantito dall’art. 32. La donna sarebbe costretta ad una gravidanza naturale e ad un eventuale aborto, andando così incontro ad un aumento dei rischi per la sua salute fisica.
Non è la prima volta che la legge 40, esito di un lungo dibattito parlamentare e oggetto di forti critiche sin dalla sua emanazione, è stata affrontata dalla Corte Costituzionale. I divieti della legge sulla pma sono numerosissimi e riguardano soprattutto la fecondazione in vitro:
- il limite di produrre e impiantare contemporaneamente un numero di embrioni non superiore a tre;
- il divieto di accedere alla diagnosi preimpanto;
- il divieto di soppressione e di congelamento degli embrioni;
- il divieto di utilizzare gli embrioni ai fini di ricerca scientifica;
- il divieto della fecondazione eterologa;
- il divieto di accesso alle coppie fertili ma portatrici di malattie geneticamente trasmissibili.
Ora si attende la sentenza della Consulta su quest’ultimo punto, che riguarda non solo l’accesso alla procreazione assistita ma anche la possibilità di effettuare indagini cromosomiche prima dell’impianto in utero.
In passato la giurisprudenza ha esaminato questo divieto, ma con riferimento alle coppie sterili o infertili. Il divieto non è esplicito ma desumibile dal comma 2 dell’art 13, che consente la ricerca sugli embrioni solo per finalità terapeutiche e diagnostiche; dal comma 3, che vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico; dall’art. 14, che prevede il divieto di soppressione degli embrioni.
Il tribunale di Cagliari nel 2005, investito da una coppia con problemi di sterilità che voleva conoscere lo stato di salute dell’embrione prima dell’impianto, rimette la questione alla Consulta ma la Corte respinge il ricorso del Tribunale, senza entrare nel merito. Ritornerà sull’analoga questione il Tar del Lazio nel 2008, su ricorso dell’associazione Warm, che mirava all’annullamento delle Linee guida ministeriali emanate nel 2004. Queste linee erano state adottate dal Ministero della Salute, per precisare il dettato ‘incerto’ della legge 40 e togliere ogni dubbio: sono consentite solo indagini osservazionali dell’embrione.
Il Tar annulla la prescrizione delle Linee guida, che hanno invaso la competenza del Legislatore introducendo un divieto ulteriore. Ma il Tar nel 2008 va oltre, criticando fortemente l’art. 14 in riferimento all’impianto unico e contemporaneo massimo di 3 embrioni e alla loro crioconservazione, concessa solo per cause di forze maggiore.
I commi 2 e 3 dell’art. 14 verranno poi dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale nel 2009 perché contrari al diritto alla salute e al principio di uguaglianza. Il fallimento dell’unico impianto induce la donna a sottoporsi ad un ulteriore tentativo, e l’impianto di tutti gli embrioni – nel massimo di tre – non rispetta la soggettività del trattamento.