Pubblicato il: Gio, Gen 2nd, 2014

Israele: liberazione di ventisei detenuti palestinesi, Kerry fa la spola tra Netanyahu e Abu Mazen

di Valeria Vellucci

Altri ventisei detenuti palestinesi, rinchiusi nelle carceri israeliane da 20-30 anni per reati legati a fatti di sangue avvenuti prima degli accordi di Oslo(1993), sono stati liberati. Il terzo scaglione, dei quattro previsti, è stato portato a termine nell’ultimo giorno dell’anno. Il quarto avverrà in aprile, per un totale di 104 detenuti scarcerati.

La decisione, presa lo scorso luglio dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu e parte di un accordo siglato all’interno del piano di pace iniziato nello stesso mese dopo un congelamento di tre anni, creò, già all’epoca, non poco risentimento all’interno dell’opinione pubblica, tra i familiari delle vittime rimaste uccise negli attentati ma anche tra gli alleati più nazionalisti dell’ultradestra del Likud. Bibi, in quell’occasione, rispose diplomaticamente alle critiche: «È un momento difficile, ma ci sono momenti in cui occorre prendere decisioni difficili per il bene del paese. E questo è uno di quelli.», sottolineando quanto la decisione sia stata “sofferta ma necessaria”: «gli interessi della popolazione hanno la precedenza».

Le dichiarazioni di questi giorni non appaiono differenti. Alle critiche mosse ancora una volta dagli alleati nazionalisti, che hanno espresso il malcontento manifestando sotto le finestre della residenza presidenziale di Gerusalemme, Netanyahu, dalla Knesset (parlamento), ha risposto così: «La leadership si giudica rispetto alla capacità di prendere anche decisioni difficili».

Giorni intensi e delicati, questi, anche e soprattutto per i negoziati di pace. Ieri il segretario di Stato americano John Kerry è atterrato in medioriente per la sua prima visita del nuovo anno, recandosi a Gerusalemme, e oggi a Ramallah, per un nuovo step del “dialogo di pace” di cui egli stesso si è autoproclamato “mediatore”. L’accoglienza, però, è stata caratterizzata da un clima teso e preoccupato: all’inizio di questa settimana una commissione ministeriale della Knesset ha approvato in via preliminare e con 8 voti a favore e 3 contrari, tra cui quello di Tzipi Livni (Ministro della Giustizia) e Yair Lapid (leader di Yesh Atid), una bozza di legge che prevede l’estensione della legge israeliana ad alcuni villaggi palestinesi sul Giordano e dove vivono circa 15.000 coloni. Intenzione, quest’ultima, che va a inasprire la già confusa situazione giuridico–legale vigente all’interno dei Territori. Il progetto, nel suo insieme, è rendere l’area che rappresenta l’unico confine della Cisgiordania verso l’esterno, l’ennesima e ultima frontiera israeliana.

Rami Hamdallah (Anp), Premier palestinese, ha ribadito che la Valle del Giordano deve rimanere il confine orientale della Palestina; il Ministro degli Interni israeliano ed esponente della destra radicale del Likud, Gideon Saar, invece prevede che la Valle del Giordano rimarrà sotto il controllo israeliano per molti anni oppure addirittura per sempre. Ma, secondo quanto vocifera la stampa israeliana, il disegno di legge troverà difficilmente la benedizione di Washington e dell’ala più moderata dello stesso Likud.

Secondo alcune anticipazioni dei giornali locali, dopo aver incontrato le due parti, Kerry potrebbe sottoporle alla firma di una bozza, o “accordo quadro”, da sottoscrivere entro fine gennaio così da porre le basi per ulteriori negoziati oltre la scadenza di aprile. I punti più importanti del documento, definito come non vincolante, sono sempre gli stessi e riguardanti i nodi maggiori, e più delicati, del conflitto: confini del futuro stato di Palestina, insediamenti israeliani, destino dei profughi palestinesi e status di Gerusalemme.

Tuttavia, a dispetto dello scetticismo generale, Kerry prevede che un’intesa definitiva si potrà avere solamente per la fine del 2014.