Ayşe Gökkan, sindaco donna, protesta contro la “barriera di separazione” turco-siriana
di Valeria Vellucci
Seduta, giorno e notte, su un campo minato lungo il confine turco-siriano tra le città di Nusaybin e Qamishli. Coperte, una scorta di acqua ma niente cibo. Ayşe Gökkan, donna turca di origini curde e sindaco della cittadina di Nusaybin, è al suo settimo giorno di protesta contro la costruzione della barriera di separazione tra Turchia e Siria. Mostrando la sua indignazione verso quel muro che dividerà in due la compatta comunità curda che vive lungo il confine sudorientale, il sindaco ha dichiarato: «Come il muro di Berlino, questo muro diventerà una macchia nella storia dell’umanità».
Novecento chilometri delimitano, da est a ovest, il confine tra i due Paesi, da Antiochia fino alla più occidentale Nusaybin. Nei pressi di quest’ultima e a pochi chilometri di distanza dalla siriana Qamishli, popolata principalmente da curdi, le ruspe hanno già iniziato a scavare le fondamenta di quella che sarà l’ennesima barriera di separazione della storia. Nonostante i problemi maggiori non abbiano finora interessato direttamente il lato turco, il muro dovrebbe porre fine al transito di clandestini siriani e proteggere il Paese dalla potenziale infiltrazione di “jihadisti”.
La decisione è stata presa, poco più di un mese fa, dal governo di Abdullah Gül e resa nota dal quotidiano turco “Hurriyet”.
Arginare il fenomeno della clandestinità per evitare che sfoci in un’emergenza ingestibile risulta essere tra gli scopi principali annunciati dal presidente della Repubblica turca in un momento in cui la sicurezza del Paese è tra le priorità dell’attuale agenda politica. Dall’inizio della guerra in Siria sono 500 mila i profughi (tra cui 397 feriti ricoverati negli ospedali) che hanno cercato rifugio nella vicina Turchia. Tra le 20 regioni che hanno allestito campi di accoglienza, a ospitarne il maggior numero è la città di Sanliurfa (antica Edessa), capoluogo dell’omonima provincia del sud anatolico e a pochi chilometri di distanza dal confine con la Siria.
Transitare illegalmente aggirando i controlli risulta più semplice in prossimità delle zone remote e meno trafficate, quasi come se non esistesse alcuna frontiera. «Non riusciamo a impedire le infiltrazioni di terroristi malgrado tutte le nostre precauzioni e il dispiegamento di cannoni e carri armati». Così si esprimeva il Presidente turco durante un’ intervista alla stampa turca durante il mese di settembre, prima di partire per il vertice del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenutosi a New York.
Queste le motivazioni principali che hanno indotto Ankara a decidere per la costruzione di una barriera.
Il partito Bdp, Partito Curdo per la Pace e la Democrazia di cui Ayşe Gökkan fa parte, da settimane tenta di fare pressioni al fine di persuadere il governo a revocare la decisione. Un muro significherebbe chiusura dei confini e quindi blocco di rifornimenti alimentari e di aiuti per la Siria, aggravando ancor più la situazione di un Paese già devastato da due anni di guerra civile. Un duro colpo, inoltre, verrà inflitto soprattutto ai curdi siriani e turchi che, seppur vivendo da un lato e dall’altro del confine, costituiscono una comunità unica. Intere famiglie verranno separate e non sarà più agevole oltrepassare la frontiera. A seguito delle proteste susseguitesi in questi giorni, le autorità hanno negato che sia in corso la costruzione di vero e proprio muro. Il vicepremier turco, Bülent Arinç, ha dichiarato che stanno semplicemente sovrapponendo del filo spinato a una struttura già esistente. Affermazione che non trova riscontro nelle dichiarazioni dei mesi scorsi e nelle testimonianze provenienti da alcune fonti locali, le quali riferiscono di una struttura di acciaio ricoperta da cemento.
Diverse persone si sono unite ad Ayşe Gökkan e la protesta ha ricevuto in pochi giorni un grande supporto, trovando ampia diffusione anche su internet e in particolare su Twitter con l’hashtag #AyşeGökkan. Dopo la mobilitazione pacifica di massa (repressa dalle forze dell’ordine con l’uso di lacrimogeni) del primo novembre, dove a Nusaybin si è protestato con la chiusura dei negozi, per oggi è prevista una manifestazione in sostegno del sindaco e della sua coraggiosa iniziativa. La polizia ha preso preventive e importanti misure di sicurezza per evitare scontri e seri disordini.
Ayşe Gökkan, dopo aver ribadito quanto questa divisione abbia anche una connotazione fortemente simbolica, ha affermato: «È un muro della vergogna che viene costruito nel ventunesimo secolo. Se necessario lo abbatterò con le mie mani, a rischio della mia stessa vita».